Giordano Talamona di G. Tarello

Mi appoggio al testo firmato da Natale Cogliati, vero storico del ciclismo varesino, dal titolo "I Mondiali di Ciclismo", edito dalla Varesina Grafica nel luglio del 1971, per informarmi e informarvi. Giordano Talamona si rivelò dilettante di rango nei mesi successivi al servizio militare, nel 1963, quando nel breve volgere di dieci settimane ottenne la meraviglia di otto affermazioni. Eccellente scorcio di stagione, supportato da peculiarità tecniche non comuni: ottimo scalatore, eccellente passista e anche sufficientemente veloce, soprattutto quando la disputa diventava impegnativa. Dunque Giordano vinse a ripetizione e più di un osservatore lo segnalò a Gruppi Sportivi professionistici. Fu il lungimirante Giorgio Albani, allora tecnico della Molteni, uomo vissuto pane e bicicletta, che offrì a Talamona un contratto allettante sul finire dell'annata 1963. Un traguardo che solo dodici mesi prima pareva irraggiungibile. Fu la nona meraviglia di Giordano, che esordì tra i professionisti domenica 1° settembre a Genova Pontedecimo, sulle strade del Giro dell'Appennino, pronto a prendere le mosse unitamente ai compagni di colori De Rosso, Baffi, Bongioni, Fallarini, Fornoni e Dante. Sette "moltenini" e altri novantanove coraggiosi presero d'infilata strade tra le più affascinanti d'Italia, avvolti da un clima infame. Pioggia e vento falcidiarono la gara rendendo impervie le balconate appenniniche tra Piemonte e Liguria. Giovi, Castagnola e Bocchetta erano erte impegnative per tutti anche sotto al sole, figuriamoci con condizioni avverse. Il n° 73 della Molteni pedalò a lungo con il cuore tra i denti, saggiando il magico mondo dei "grandi". Stava giocando nel loro stesso cortile, faticando sulle loro strade. Giordano stava respirando l'aria dei giganti. De Rossi lo esortò a stargli al fianco, lo vide arare tornanti, smoccolare in dialetto veneto, stringere i denti con Ronchini, Balmamion e soci per cercare di contenere la forza di un giovanotto torinese che i suiveurs dell'epoca stavano per battezzare "l'Erede di Coppi", ossia Italo Zilioli. La corsa poi promosse purissimo teatro: scatti mozzafiato, allunghi dirompenti, inseguimenti plateali, e dopo 255 chilometri Zilioli stravinse con 2' e 10" su Ronchini, quindi Durante a 5' e De Rosso a 6' e 50". Da ricordare. Seguirono altre gare d'apprendistato, votate soprattutto a incasellare esperienza in previsione della stagione 1964, la quale avrebbe dovuto essere quella della conferma. S'imbarcò con tutta la Molteni alla volta del 1964 unitamente a Pierino Baffi (l'esperto del gruppo, 34 anni, giunto agli ultimi stacchi di una carriera ricca di elevazioni), Aldo Beraldo, Renato Bongioni (Campione del Mondo tra i dilettanti nella prova in linea a Salò 1962), Michele Dancelli (un "nuovo" che avanzava con repentina continuità), Guido De Rosso (il "tappista" e "regolarista" della compagine), Giacomo Fornoni (Campione Olimpico della 100 chilometri a squadre, con Antonio Bailetti, Ottavio Cogliati e Livio Trapè, a Roma nel 1960), Antonio Manca (tra i pochi sardi ad approdare al ciclismo elitario), Gianni Motta (giovanissimo esordiente del quale tutti pronosticavano un roseo futuro, che in molte circostanze condivise la camare con il nostro protagonista) e Guido Neri (tesserato dal sodalizio di Arcore dopo l'insperato successo ottenuto nella prima edizione del Trofeo Laigueglia, gareggiato con la maglietta della Cooperativa Dopolavoristica Masone, quand'era il 23 febbraio 1964). Al fianco di cotanto ben d'Iddio Giordano si rassegnò all'oscura funzione di gregario, pronto sempre e comunque ad appoggiare i capitani di giornata, mettendo così a loro disposizione il talento che possedeva. Tutte le classiche al fianco di Dancelli e Motta, il Giro d'Italia (concluso in 45^ posizione a 1 ora 31 minuti e 48 secondi da Jacques Anquetil) speso a spalleggiare i "capitani" De Rosso e Motta, che conclusero 3° e 5°, rispettivamente a 1' e 31" e 2' e 38" dall'asso normanno. Insomma un Talamona formato invisibile ma terribilmente utile e concreto. Purtroppo però la bella favola alla Molteni s'interruppe al termine di quella annata. Il ciclismo in quel tempo sbranava e digeriva corridori con una voracità incredibile. Spesso non esistevano prove d'appello, i processi si esaurivano ancor prima d'ascoltare i testimoni. E il varesino dovette rassegnarsi ad affrontare l'inizio della stagione 1965 da "non accasato". Corse disputate alla baionetta senza l'appoggio di una squadra. Pronto a mettersi in vetrina, sperando che prima o poi un direttore sportivo s'accorgesse delle sue qualità. E venne anche il giorno, in Svizzera, tarda primavera. Giordano battagliò a lungo e concluse ventiquattresimo il Campionato di Zurigo dominato da Bitossi. Quella sera Gastone Nencini avrebbe lasciato il ciclismo pedalato per affiancare Waldemaro Bartolozzi sull'ammiraglia della Filotex e l'occasione si materializzò. I due toscani gli offrirono l'opportunità di accasarsi. Accettò senza pensarci. Tornò a essere un corridore a tutti gli effetti con una casacca e soprattutto uno stipendio, magari esile ma sempre importantissimo. Cavalcò dunque cicli Fiorelli, con il busto fasciato di biancoblù al fianco di: Franco Bitossi (Cuore Matto stava per esplodere dopo l'eccellente 1964), Guido Carlesi (detto Coppino, che mai sfruttò appieno il talento che madre natura gli donò), Vittorio Chiarini, Silvano Ciampi (vecchio velocista di gran classe), Ugo Colombo, lo svizzero Dario Da Rugna, Gianni Fabbri, Paolo Gelli, Giuseppe Grassi, Robert Hagmann (che in tale stagione si laureò campione elvetico, gareggiò con la maglietta Filotex solo le gare del suo Paese), Guerrando Lenzi, Paolo Mannucci, Domenico Muccioli, il giovane rossocrociato Louis Pfenninger, Rolando Picchiotti, Alessandro Rimessi e Mario Zanchi. I rosei presupposti però non partorirono gli esisti sperati e la stagione proseguì troppo tirchia, sparagnina. Il suo Giro d'Italia si concluse dopo meno di una settimana, in Irpinia, quando al vertice della generale s'era insediato Albano Negro, abile a detronizzare Luciano Galbo che a sua volta aveva scalzato Carletto Chiappano. Giordano a corto di preparazione segnò il passo e dopo gli infernali mangiaebevi campani giunse fuori tempo massimo ad Avellino. In estate a poco valsero i discreti piazzamenti racimolati al Giro di Svizzera (41° nella classifica finale, in un Tour dominato da Franco Bitossi e dai suoi compagni di squadra al punto che vinsero tutte le tappe in programma tranne due che finirono nel carniere di Huysmans e Mugnaini), al Gran Premio Cemab di Mirandola (7°) e al Giro dei Quattro cantoni (9°). Ma la campana dell'ultimo giro era stata suonata anche a Giordano Talamona, grande promessa, che al tramonto del 1965, senza chiasso, chiuse con il professionismo. Il ciclismo restò comunque nei suoi geni e tornò al Velo Club Luigi Ganna di Varese, equipe che lo aveva lanciato in orbita nelle categorie dilettantistiche, per vestire i panni del direttore sportivo, insegnando il mestiere del "curidur" a numerosi giovanotti della sua terra.
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