Giuseppe Pancera alla corsa più lunga del mondo

Iscritto e accompagnato dall'amico Barlottini, Giuseppe si presenta, nel 1931, al nastro di partenza della corsa più lunga del mondo la Paris-Brest-Paris di 1186 (millecentoottantasei) km no-stop. Non fosse per la ricostruzione della Gazzetta dello Sport che manda appositamente un inviato sembrerebbe un romanzo di avventura: Pancera come al solito scatta e saluta la compagnia subito dopo il via. Era il suo modo di correre cercare sempre l'impresa solitaria. Pedala i primi 200 km nel buio della notte qui la prima crisi di fame e incomincia a piovere, la strada è un torrente di fango. La cronaca parla di avversari scorretti in modo particolare i belgi che si fanno trasportare sui camion, alcuni squalificati alcuni misteriosamente in testa alla gara. Preso dallo sconforto al km. 500 decide di ritirarsi e lo avrebbe fatto se non fosse stato per un gruppo di emigranti italiani che lo rincuorano e lo fanno mangiare.
Resiste, va avanti, le crisi metaboliche non si contano e dopo dieci ore di fatica allucinante riaggancia il gruppo di testa. Si prosegue in gruppo (una decina di corridori) e incomincia la selezione naturale. Dalle sue stesse parole la drammaticità di quei momenti: "tutto degenera al km. 900 ne mancano ancora 300 all'arrivo di Parigi. L'australiano Oppermann dopo una notte di tempesta, vento e flagellante pioggia crolla sul ciglio della strada imprigionato nelle ragnatele del sonno. Lo sentono parlare da solo ad alta voce come un pazzo, fischia e si racconta favole puerili per mantenersi un pò desto. Gli altri? Hector Martin altro fuggitivo termina la gara direttamente in una farmacia, le sue sembianze sono quelle di uno spettro e per lui parlano le lacrime che si mescolano al castigo liquido del cielo".
La cronaca ufficiale porta ancora gli esempi del tedesco Frantz e dei belgi Dyzers e Joly che si ritirano in preda ad allucinazioni e al delirio. Pancera a 200 km. da Parigi è in preda all'ennesima crisi, cade in un fosso da dove viene tirato fuori stremato e mezzo addormentato. Ma il bagno fuori programma risveglia Bepi che riprende a pedalare a 80 km. da Parigi crede di essere nel gruppo degli inseguitori con Oppermann, il francese Bidot, e il belga Louyet scatta ancora per conquistare il secondo posto, ma davanti a lui c'è solo il traguardo del Parco dei Principi ad aspettarlo, entra nel velodromo, ma a 100 metri dal traguardo stramazza nel prato con la folla urlante il suo nome, mentre raccoglie le ultime forze per rialzarsi passano Oppermann e Louyet che tagliano il traguardo nell'ordine. Nessuno dei tre ricorderà mai quei momenti. Dalla partenza sono passate 49 ore 23 minuti e 30 secondi è il nuovo record della corsa e i cronisti presentano l'italiano Pancera come il Dorando Petri del pedale.
All'arrivo in Italia con Assuero Barlottini al fianco al giornalista del L'Arena dirà: "è stata una corsa mostruosa di 1186 km. in una tappa sola ed inumana, disputata da atleti addormentati e deliranti i cui gesti risultavano incoscienti, la cui volontà subisce tragiche eclissi sotto gli assalti del sonno, della stanchezza e dell'inedia". Una corsa-calvario che fa pensare agli incontri di box.
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