Jean Bobet

Jean, classe 1930, è il fratello laureato della leggenda Luison Bobet. Un discreto corridore, niente di più. Eppure, grazie soprattutto a questa parentela, ha saputo conquistarsi quasi due lustri di discreta evidenza. Campione mondiale universitari nel 1949 e 50, quando militava nei dilettanti prima e negli indipendenti poi, passò professionista nel corso del '51, già con la fama di fratello intellettuale e consigliere del grande Luison. Jean però, non aveva né i mezzi né la classe di nota del compagno d'equipe e di gregariato verso il maggiore dei Bobet, ovvero quel Pierre Barbottin che passerà alla storia come uno dei corridori più forti fra gli inespressi per sfortuna e devozione, dell'intera storia del pedale. Che il Barbottin non lo ricordino in tanti è ovvio, vista la piega verso i numeri dell'osservatorio e la poca disponibilità storica del giornalismo di fare retrospettiva e sondare fra i dimenticati. Il buon Jean, dunque, si lasciò scorrere sul circuito professionistico, mettendo al massimo frutto le sue non eccelse doti e quella laurea (l'equivalente italiana dell'odierna Scienze Motorie) che gli servi certamente per aiutare, il già formidabile fiuto di Luison.
Un giorno, Charly Gaul, mi disse: "Macchè laureato, Jean Quattrocchi, non sapeva contare fino a tre!" Nell'affermazione dell'Angelo della Montagna ci stava tutto il rincrescimento che provava da quasi mezzo secolo, verso il giovane Bobet, suggeritore, a suo giudizio, del sinistro attacco del fratello, quando lui, in maglia rosa e con l'amico Bondone da scalare, si fermò a far pipì, durante la Como Trento del Giro '57. Per quell'azione, si giocò una corsa che aveva già praticamente vinto. In Charly poi, il cognome Bobet significava sconfitta senza convinzione di merito: già ai mondiali di Solingen, infatti, dopo esser stato l'unico a tenere l'acuto di Coppi, si trovò a terra per colpa di questi (il rispetto e la devozione verso la leggenda del Campionissimo, la dimostrò sempre, mettendo le scuse di Fausto fra i suoi trofei più cari...), proprio mentre, in contropiede, Luison sviluppò l'attacco decisivo. Tornando a Jean, il suo ruolino fra i prof ci parla di 10 vittorie su strada, fra le quali la più importante fu la Parigi Nizza '55, dove conquistò anche la prima tappa. Di nota anche la Genova Nizza '56 (evidentemente la città della Costa Azzurra l'ispirava) e il GP D'Europa '53. Fra i suoi pochi piazzamenti spicca il terzo posto alla Milano Sanremo '55, proprio nell'anno di grazia dell'occhialuto francese, che gli valse, tra l'altro, anche la sua unica selezione per i Mondiali (Frascati), dove però si ritirò. Per il resto, le sue vittorie si concretizzarono in corse minori, ma la vera evidenza del più giovane dei Bobet, si consumò nel costante accompagnamento verso il fratello..... comprese le conferenze stampa.....
L'idea di tentare il record dell'ora dietro derny, maturò in Jean proprio dall'esigenza di distinguersi un poco dal fratello e per le buone predisposizioni che sentiva di possedere verso il passo, anche se non era trascendentale nemmeno lì. L'anno, il 1953, il secondo fra i professionisti, si prestava per un distinguo, in quanto il più giovane dei Bobet aveva solo 23 anni. Il derny era popolarissimo nel ciclismo di quei tempi, anche perché, alle proposte in pista, aggiungeva la parte importante e peculiare della Bordeaux Parigi, la classicissima oggi soppressa, non senza contestabilissime motivazioni. Jean, provò quel tentativo una sola volta, senza un allenamento specifico, nonostante le sue esperienze in pista fossero poche e per nulla esaltanti. Il teatro del tentativo che avrebbe comunque portato al record, in quanto nessuno prima di Bobet si era cimentato, fu il velodromo di Parigi, in coda a quello che è sempre stato il miglior GP su pista della storia. Il risultato ottenuto da Jean, fu considerato molto positivamente: 54,884 km. Si pensava che l'aiuto della scia del derny, non potesse così facilmente tradursi sull'ora, in 9 chilometri abbondanti sul record stabilito dal singolo corridore, all'ora detenuto da Faustro Coppi, con 45,798 km. In realtà, in quelle considerazioni ci stava tutta l'ignoranza dei neofiti, e di questo ne ebbero subito consapevolezza gli specialisti delle gare dietro moto, francesi in primis.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
©2002-2023 Museo del Ciclismo Associazione Culturale ONLUS - C.F.94259220484 - info@museociclismo.it - Tutti i diritti riservati

I dati inseriti in archivio sono il risultato di una ricerca bibliografica e storiografica di Paolo Mannini (curatore dell'Archivio). Le fonti utilizzate sono svariate (giornali, libri, enciclopedie, siti internet, archivi digitali e frequentazioni sui vari Forum inerenti il ciclismo). Chiunque desideri contribuire alla raccolta dei dati, aggiunta di materiale da pubblicare o alla correzione di errori può farlo mettendosi in contatto con Paolo Mannini o con la Redazione.

Preferenze Cookies - Privacy Policy