Nino Defilippis, quando la polemica non ha età

Rivista Tuttobici Numero: 6 Anno: 2000

Nino Defilippis, quando la polemica non ha età

di Gino Sala

Il Cit era e Cit è rimasto all'età di 68 anni. Cit, in torinese, significa bambino e fu il famoso Carlin sulle colonne di Tuttosport a battezzare così Nino Defilippis quando entrò nel mondo del professionismo dove è rimasto per dodici stagioni, esattamente dal '52 al '64. Una bella presenza, non tanto per le trentadue vittorie tra le quali si contano due campionati italiani, un Giro di Lombardia, nove tappe del Giro e sette del Tour, quanto per la personalità dell'individuo, simpatico nelle sue polemiche; generoso in sella, un tipo intelligente, con la lingua sciolta, gradevole per i cronisti a cui offriva materiale in abbondanza.

Penso che lo stato di servizio di Defilippis non esprima sufficientemente il valore atletico del corridore che militava nella Carpano. Giorni fa gli ho ricordato il Giro d'Italia del '62 e all'inizio della conversazione mi ha detto: «Vuoi rovinarmi la giornata?». Ricordo bruciante. Nino aveva il compito di curare la classifica e lo stava facendo nel migliore dei modi. Doveva quindi essere protetto dai compagni di squadra e invece nella tappa pianeggiante che terminava a Casale si trovò fuori da una fuga senza aiuti per rientrare. Tutti davanti Balmamion e soci, un comportamento che fa imbestialire il Cit. Finisce la tappa e Nino scappa dall'albergo comunicando di volersi ritirare. Cena con gli amici, rientra a casa alle due di notte e qui incontra i suoi dirigenti che lo convincono a rimanere in corsa dietro un congruo compenso. Il Giro lo vincerà Balmamion, la Carpano è in festa e Defilippis ingoia l'amaro boccone. Non sarà l'unico dispiacere.

In un Giro delle Fiandre c'è la sorpresa di un traguardo spostato più in là di cento metri all'ultimissimo momento. Due volte si passa sotto lo striscione e soltanto nel terzo giro finale la linea d'arrivo non è più quella di prima e così Nino dopo aver sfrecciato su Tom Simpson frena e alza il braccio in segno di vittoria mentre sullo slancio il britannico va oltre pur convinto di essere battuto. Si assiste alla scena di Tom che si congratula con l'italiano, giusto come avviene quando lo sconfitto rende onore al primattore, ma è una scena fasulla e inutile sarà la protesta di Defilippis.

Delusione profonda anche nel mondiale del 1961, quello di Berna dove il Cit è secondo nella scia di Van Looy. «Secondo perché nessun azzurro mi ha dato una mano nella conclusione. Mi avessero aiutato, la maglia iridata sarebbe finita sulle mie spalle», rammenta il torinese. «Erano tempi in cui nella nazionale tutti tiravano l'acqua al proprio mulino. Devo però ammettere che anch'io non aiutavo gli altri...».

Tempi lontani, rievocati dal Cit con toni discordanti con quelli di oggi. «Vorrei capire perché noi si arrivava con la bava alla bocca mentre adesso vanno sul palco senza alcun segno di fatica. Tutti belli, tutti sorridenti, tutti figli della freschezza, come se non avessero alle spalle ore di corsa. Mi faccio mille domande, mi dò mille risposte senza capire come stanno realmente le cose...».

Sicuro che Nino non è in linea col ciclismo di oggi. Non è il solo, intendiamoci, non è l'unico a rimpiangere epoche lontane e personaggi del suo stampo. In questi "visti da vicino" vengono a galla contrasti che fanno discutere, che provocano rimpianti, ma anche riflessioni da non sottovalutare. Ecco, a Defilippis dico che in questi momenti è già confortevole vedere ragazzi che si sfidano a colpi di pedali, confortevole la scelta di uno sport antichissimo, ricco di valori e di proposte. Se riusciamo a collegarci con buone maniere agli insegnamenti del passato, se togliamo potere ai cattivi insegnanti, riavremo l'ambiente auspicato dai saggi e dagli onesti. È la mia speranza che tende a ritrovare altri Cit, altri Nino Defilippis.
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