Marino Amadori: un romagnolo per guidare Pantani

Rivista Tuttobici Numero: 2 Anno: 2002

Marino Amadori: un romagnolo per guidare Pantani

di Gino Sala

I romagnoli mi sono sempre piaciuti. Gente laboriosa e schietta, senza peli sulla lingua. Generosa, anche. Ricordo un mio lettore che venne a trovarmi in sala stampa con una damigiana di autentico Sangiovese, vino da me prediletto, da accostare ad un Barbera ingentilito. Purtroppo la damigiana si ruppe durante il trasferimento che mi portava da una corsa all'altra, da Ravenna a Perugia nei cui pressi un ragazzino segnalò al pilota Alfredo Re la perdita di un liquido che poteva sembrare benzina.
Raccogliemmo i cocci e mi consolai col profumo del nettare sparso in tutta la vettura. Re dava la colpa dell'accaduto alla fragilità del vetro, io lo rimproveravo di aver scelto strade, anzi stradine balorde allo scopo di accorciare il percorso. Ci consolammo cenando al ristorante Rosetta, ma potete immaginare quale fu il tema della serata.

Romagnolo di Predappio è Marino Amadori, classe 1957, professionista dal 1978 al '90, sette vittorie ottenute in una bella tappa della Tirreno-Adriatico, nel Giro del Piemonte, nel Trofeo Matteotti, nella Coppa Placci, nella Coppa Sabatini, nella Coppa Agostoni e nel G.P. di Larciano. Mica male considerando che il suo ruolo era quello del gregario. Un gregario di lusso voglio subito aggiungere, tale da meritare la maglia azzurra per undici anni consecutivi.

Gregari così, al di là di qualche rara eccezione, non esistono più. I tipi mansueti, abili su qualsiasi percorso, vicini ai capitani nei momenti di battaglia, sono pressocché scomparsi. Potrei elencare una quarantina di nomi, anche cinquanta che hanno un ruolo del genere senza però attenersi a compiti specifici, o almeno in alcuni casi lo fanno, in altri no. Perché? Perché un po' tutti vanno a caccia di piazzamenti che forniscono punti alla squadra di appartenenza e di conseguenza irrobustiscono gli stipendi. Punti voluti dall'UCI, cosa che assolutamente non condivido, fermo restando la necessità di compensare i gregari con paghe dignitose.

Amadori è stato un fior di aiutante, diciamo pure di luogotenente e di ciò può andar fiero. Sono questi gli uomini che poi ritroviamo sull'ammiraglia con idee e conoscenze profonde per lo svolgimento delle loro mansioni. Marino ha già dimostrato i suoi valori operando per anni nel settore femminile e adesso lo vediamo tra i tecnici della Mercatone Uno dove avrà di fronte Marco Pantani. Con tutta sincerità dirò che per Amadori avrei preferito un'altra sistemazione. Non so fino a che punto si troverà in sintonia col "pirata", spero che insieme a Magrini e Podenzana riesca a trasmettere la sua preziosa esperienza, non vorrei che venisse accantonato, adibito a compiti di scarsa importanza. Abbiamo visto il trattamento riservato a Martinelli, Giannelli e Maini, non vorrei che la storia si ripetesse.

Tra i mali del ciclismo di oggi c'è il ruolo di tanti direttori sportivi costretti ad accettare i voleri dei corridori. In larga misura è scomparsa quella direzione forte e costante che proveniva dalla competenza e dalla saggezza dei Martini, dei Pezzi, degli Albani, tanto per citare alcuni nomi dei maestri del passato. In questo senso le cose sono peggiorate a danno degli atleti che col passaggio al professionismo pensano di non aver più bisogno di una particolare assistenza, di istruttori che dovrebbero seguire la preparazione settimanale degli atleti. Un lavoro sostituito da qualche telefonata tra il corridore e il diesse e stop, una mancanza di precisi collegamenti, di contatti tecnici e umani.

Male, malissimo. Sarebbe un bene per tutti, a cominciare da Pantani, se gli ex pedalatori come Amadori venissero ascoltati con la dovuta modestia, col criterio di chi vuole seguire i giusti indirizzi per correggersi e migliorare.
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