Patrick Sercu Il signore delle volate e della correttezza

Rivista Tuttobici Numero: 7 Anno: 2002

Patrick Sercu
Il signore delle volate e della correttezza

di Gino Sala

Chi ha la bontà di seguire i miei Visti da vicino avrà notato che sovente accompagno i ricordi con riferimento alla personalità del corridore, grande o piccolo che sia stato nella sua carriera. Grandissimo è da considerarsi Eddy Merckx, ma ciò non toglie che per me il "cannibale" è da criticare per il suo egoismo, per quella voracità che nulla concedeva ai suoi avversari, non dico i più temibili, ma quelli che con una piccola vittoria avrebbero aggiustato una stagione e sbarcato meglio il lunario. Insomma, Eddy è stato tutto, meno che un generoso. Non ho mancato di farglielo notare dissentendo a quattr'occhi e le sue giustificazioni, pur comprensibili per certi aspetti, non mi hanno mai convinto. Non lo faceva per soldi, per maggior guadagni. Era però guidato da una ambizione senza freni.

Il discorso cambia parlando di un altro belga, di Patrick Sercu, principe dei tondini, primattore nelle Sei Giorni con 88 successi, una carriera professionistica di lunghissima durata, che va dal '65 all'83, un pistard due volte campione del mondo nella velocità, ma anche un pedalatore capace di emergere nelle gare su strada come dimostrano le vittorie di tappa riportate nel Giro d'Italia e nel Tour de France. Suo il Giro di Sardegna 1970 che nella penultima frazione presentava una salita piuttosto cattiva e che è nei miei ricordi perché Patrick seppe difendere la sua posizione di "leader" della classifica.

Ma di lui ciò che principalmente è rimasto nella mia memoria è il suo modo di comportarsi. Un signore nel vero senso della parola, una correttezza, un'educazione che lo rendevano un personaggio esemplare, una gentilezza, un "savoir faire" unico nell'ambiente di ieri e di oggi. Detto questo, devo aggiungere che la nostra amicizia si è cementata per motivi più sostanziali, per la comune visione delle cose.
Già trovavo in Sercu una specie di mosca bianca nella categoria dei velocisti composta in massima parte da elementi senza scrupoli, da tipi che mettevano a repentaglio la propria e l'altrui incolumità nelle conclusioni con tanti uomini ingobbiti sul manubrio. Niente è cambiato da allora e non vi nascondo che dopo tanti brividi e tante preoccupazioni in talune circostanze chiudo gli occhi per non vedere. Anche Sercu per colpa di altri è finito all'ospedale. Sercu, lo sprinter che non deviava di un millimetro, eclettico, pulito, meraviglioso nei suoi finali. Sercu perfetto nell'azione, tutto da vedere e tutto da applaudire nei finali di gara. Difficile che perdesse se nessuno lo buttava giù di sella e quando capiva che per uscire dalle mischie c'era il rischio di danneggiare se stesso e gli avversari, Patrick tirava i remi in barca a sostegno di una teoria che ci ha sempre accomunato, sorda per le orecchie di Tizio, Caio e Sempronio, ben presente in Sercu e nel vostro cronista.

Quale teoria? Eccola nei discorsetti sovente ripetuti da Patrick: «Quando mi rivolgo ai colleghi sostenendo che non si deve giocare con la vita, che nel ciclismo siamo tutti di passaggio, che non bisogna rendere il mestiere più pericoloso di quello che è, ricevo un coro di sì. Poi i più si scannano pur di vincere. Non approvo, non capisco. Fossi un giudice punirei i trasgressori col ritiro della licenza...».

Vorrei tanto che le prediche del gentiluomo Sercu facessero scuola in tutte le categorie del ciclismo, vorrei anche rendere obbligatorio l'uso dei caschi. Siamo in pochi ad occuparci del bene di chi pratica una disciplina bisognosa di protezione e faccio punto con un caro saluto al maestro Patrick.
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