Roger Riviere

Forse l'icona più triste del ciclismo, per le speranze di un futuro radioso che lasciò tragicamente interrotte, da uno dei più paurosi incidenti di corsa che si ricordi. Non morì, ma rimase su una sedia a rotelle. La sua purissima classe, il suo accarezzare i pedali senza perdere in grammo dell'efficacia, la sua gioventù, avevano fatto di lui una delle più grandi promesse del ciclismo mondiale verso la fine degli anni cinquanta. Prodezze non comuni, su strada e su pista, hanno contraddistinto la sua breve e luminosa carriera: non aveva ancora raggiunto la continuità di rendimento che la maturità sa propiziare, ed è pure vero che nelle classiche non era riuscito a dare la misura della sua grandezza, ma c'erano tutte le basi per rendere lucenti anche i punti più grigi. E poi, come si può non dar credito ad un corridore che corse solo tre anni e mezzo, migliorando di anno in anno le qualità dei suoi successi e della sua presenza?
Con il conforto del trionfo nel Giro d'Europa Zagabria-Namur '56 (con due vittorie di tappa), debuttò fra i prof nel '57, conquistando la maglia di campione di Francia dell'inseguimento dopo aver sconfitto in finale Anquetil. E in questa specialità realizzò i più prestigiosi risultati: tre titoli mondiali nel '57, '58 e '59. La sua grandezza emerse subito: ventunenne attaccò al Vigorelli il record dell'ora di Baldini (che aveva superato Anquetil) e lo batté con km 46,923. L'anno successivo nell'intento di superare se stesso, nonostante una foratura che gli fece perdere almeno 300 metri, arrivò a km 47,396. Del resto, stava dimostrandosi addirittura più forte di Anquetil, dal quale lo divideva un'intensa rivalità, che sconfisse nelle cronometro del Tour '59 a Nantes e a Digione. Fu proprio nel generoso tentativo di strappare a Jacques il record del Gran Premio delle Nazioni che nel '59, per 90 chilometri, viaggiò ad andatura primato, ma nel finale crollò, tanto da essere superato nel giro di pista, al Parc des Princes, per 4", dal regolarissimo Aldo Moser.
Quarto nel Tour del '59 e 6° nella Vuelta dello stesso anno (con due tappe vinte), puntava alla vittoria nel Tour del '60, che segnò, invece, la sua fine. Stava lottando testa a testa con Nencini (sempre secondo nelle tre tappe da lui vinte a Bruxelles, Lorient e Pau, ma maglia gialla), quando nella Millau-Avignone, quattordicesima tappa, probabilmente nell'intento di mettere alla prova Nencini lungo la discesa del Perjuret, si gettò in maniera così spericolata che una sbandata lo mandò fuori strada, picchiò contro un muretto e dopo un volo di una ventina di metri, fini ai bordi di un ruscello. Due vertebre fratturate (una dorsale e una lombare): fu il verdetto di una condanna senza appello. Invalido all'80 per cento, cercò invano di risollevarsi. Tutto gli andò male, fallirono pure le sue aziende: il cafè-restaurant "Vigorelli" a St. Etienne, il garage di Veauche e il campo vacanze a Loriol, nella Valle del Rodano. Le sue sofferenze fisiche lo costrinsero a ricorrere agli stupefacenti e, per questo, ebbe momenti critici anche con la giustizia. Il suo calvario si concluse all'inizio del '76: un tumore alla laringe, pur dopo un'operazione, non gli diede scampo e lo portò all'irreparabile a soli 40 anni.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
©2002-2023 Museo del Ciclismo Associazione Culturale ONLUS - C.F.94259220484 - info@museociclismo.it - Tutti i diritti riservati

I dati inseriti in archivio sono il risultato di una ricerca bibliografica e storiografica di Paolo Mannini (curatore dell'Archivio). Le fonti utilizzate sono svariate (giornali, libri, enciclopedie, siti internet, archivi digitali e frequentazioni sui vari Forum inerenti il ciclismo). Chiunque desideri contribuire alla raccolta dei dati, aggiunta di materiale da pubblicare o alla correzione di errori può farlo mettendosi in contatto con Paolo Mannini o con la Redazione.

Preferenze Cookies - Privacy Policy