Freddy Maertens, un fuoriclasse

Piuttosto piccolino, anzi per le misure che oggi si vorrebbero per i velocisti o i cronoman, decisamente piccolo (1,72 x 66-67 kg). Proporzionato nel fisico e con una compattezza muscolare che nei tempi attuali distruggerebbero con lavori sul fondo in grado di mortificare le fibre bianche che possedeva a iosa, Freddy, col suo corpo da scalatore, era un winnner velocistico di dimensioni stellari. Scelta di tempo, fiuto, esplosività, punte di velocità degne di un pistard, lo facevano sprinter di razza come pochi. Provò a costruire con la Flandria, fra lo scherzo e il faceto, o come semplice esperimento, quella preparazione della volata di squadra che poi è stata definita "treno", ma fu un carotaggio isolato, perchè il Maertens, le volate le faceva da solo, mortificando spesso coloro che potevano avere opportunità di vittoria sull'unica variabile dello sprint. Un Saronni, per molti aspetti, con maggiori doti sul passo, al punto di vincere il GP delle Nazioni, quando questa gara valeva tranquillamente l'odierno mondiale a cronometro.
Solo i campioni con la maiuscola, nella stagione del debutto, a soli 21 anni, vincono quindici corse, fra le quali la Quattro Giorni di Dunkerque, i Gran Premi della Scheda, Jef Scherens, l'Escaut, la Fleche de Leeuw St Pierre, si piazzano secondi nel Giro delle Fiandre, quinti nella Parigi-Roubaix e....perdono la maglia iridata per venti centimetri. Già, quel mondiale di Barcellona '73, meriterebbe un racconto di pagine e pagine. Resta però la constatazione, senza essere quei nazionalisti che gli italiani sanno essere solo nello sport, che Maertens fece perdere l'iride a Merckx, andandolo a prendere in salita con Gimondi e Ocana staccati, mentre Eddy si prese un'immediata rivincita, giocandolo nello sprint decisivo a vantaggio di chi gli stava meglio in maglia arcobaleno: Felice Gimondi. L'evidenza lapalissiana di quel giorno però, ci dice che il più forte nella corsa mondiale, era il baby Freddy Maertens. Ed è anche vero che il campionato del mondo di Barcellona, recitò sul debole carattere di Freddy un ruolo importante, facendolo sentire più insicuro e alla completa mercé di quelle tante mezze figure che, alla lunga, contribuiranno non poco alla contrazione della sua carriera. Ciononostante, per qualche anno, Maertens fu devastante. Nel '74 vinse 34 corse, 33 nel '75, 52 nel '76, 53 nel '77: in sostanza solo Merckx, in quel lustro, gli era stato superiore. In quella mitraglia di successi, anche il titolo mondiale, conquistato ad Ostuni nel 1976, davanti a Francesco Moser.
In salita più che la sua inadattabilità, assolutamente inesistente, fu una forma di disinteresse a fermarlo nei primi anni di carriera, ma dopo la Vuelta vinta, capì che poteva stare tranquillamente al passo dei migliori dell'epoca, anche lì. Purtroppo, la caduta al Mugello, ruppe completamente i suoi piani: era il 1977 e, dopo aver vinto alla grande la Vuelta di Spagna, prese il via al Giro d'Italia e sbalordì tutti con sette vittorie di tappa, ma arrivò la frazione del Mugello, proprio il giorno dopo la sua vittoria a Forlì. Sul celebre circuito motoristico, disputò una volata a colpi proibiti con Van Linden, la vinse, ma cadde fratturandosi il polso. Fu il colpo di grazia, la lesione non guarì più totalmente e molti attribuirono la causa di ciò all'uso di sostanze proibite, derivate dal cortisone. Il suo fragile equilibrio si incrinò. Tuttavia, nel 1978 riuscì ancora a vincere 18 corse, fra le quali l'Het Volk, la semiclassica di Harelbeke e la Coppa Agostoni, ma la sua squadra, la Flandria, venne sciolta e Freddy cominciò a correre dove e per chi gli capitava. In quel momento iniziò il suo declino agonistico, reso più grave e tangibile dalle crescenti difficoltà finanziarie e dalle pressanti richieste di arretrati da parte del fisco belga. In sostanza, si era fidato di gente con pochi scrupoli e ne pagava le spese. Nel 1979 e '80, si distinse....per i suoi ritiri, ma nel 1981, dopo esser stato ingaggiato dalla Boule d'Or, ritrovò il grande tecnico Guillaume Driessens che lo recuperò e lo portò al Tour.
Il bilancio di Freddy nella Grande Boucle fu ottimo: cinque vittorie di tappa, la maglia verde della classifica a punti e la garanzia di poter correre i mondiali di Praga. Qui recitò il suo canto del cigno, riconquistando la maglia iridata. Si trascinò ancora qualche anno per fare soldi conquistando, proprio nel suo ultimo anno un successo in un criterium. Freddy Maertens non è stato solo un grandissimo velocista, come qualcuno ancora sostiene, ma era fortissimo a cronometro, ed in salita, se voleva, poteva stare vicino ai migliori: quanto basta per farne un corridore in grado di vincere anche una grande corsa a tappe. Non a caso vinse una Vuelta. D'altronde, se Moser e Saronni, erano considerati completi, Maertens, aveva qualche ragione in più, almeno a livello potenziale, per esibire le stesse credenziali.
Ciò che non andava in Freddy, non stava nel fisico eccellente, raro e superiore a tanti campioni che poi impreziosirono il loro palmares con raffiche di vittorie anche nelle corse a tappe, ma il suo carattere fragile, l'intontimento che lo accompagnava con la fama crescente, ed un'incapacità pressoché totale di riconoscere le persone verso le quali era giusto fidarsi, furono i suoi veri limiti. Un ragazzo, che non fu mai capace di crescere e di capire l'ambiente che lo circondava, ignaro delle distinzioni da farsi, inconsapevole dell'esigenza di dosare le parole al contatto con media che, nel Belgio del suo tempo, erano simili al calcio nostrano dell'odierno. L'incapacità di vivere le tante rivalità insistenti nel ciclismo del suo paese, spesso incentivate dal campanilismo e dalle culture delle varie zone, con quel distacco necessario per non trovarsi schiacciato o deviato anche nei fatti di corsa. La sua esultanza tipicamente giovanile, con quel pizzico di sbruffoneria che non guasterebbe mai in linea teorica, ma pericolosa in certi contesti, quando a lato ci sono, nel suo caso, glorie storiche come Merckx e campioni in grado di aprire le porte alla leggenda come Roger De Vlaminck, o ad imprimere gli albi d'oro, potenzialmente o direttamente, come Godefroot, Van Springel, Leman, Verbeeck, Dierickx, Pintens, Walter Planckaert ecc. Aveva pochi, troppo pochi amici in gruppo, cominciando dai suoi connazionali.
La stessa brutta e significativa giornata dell'esordio mondiale, a Barcellona, sul circuito del Monjuich, nel 1973, evidenziò fino a scolpirne i prosiegui, le difficoltà d'adattabilità di Maertens. Quando Merckx attaccò in salita, scaricando Gimondi e Ocana, Freddy, per dimostrare di esserci, di avere forza, di essere un campione, andò a prendere Eddy. Non lo fece con spirito cattivo, si lasciò semplicemente andare alla sua voglia di far vedere chi era, non rendendosi conto che in quel modo rimetteva in gioco l'italiano e lo spagnolo. Poteva starsene a ruota degli altri, era il più veloce e se costoro fossero riusciti a riprendere Merckx, sarebbero comunque stati in tre a scannarsi di lavoro e fatica, favorendo il suo già letale sprint. Non si rese immediatamente conto che la sua azione, oltre a renderlo inviso al numero uno del ciclismo mondiale, lo metteva nella non facile veste di corridore inaffidabile, anche fra gli altri grandi belgi (che non aspettavano altro...). La prova di tutto questo si ebbe dopo, quando, a dimostrazione della sua considerazione verso Eddy, si rese disponibile a tirargli la volata (in fondo "il cannibale" dopo di lui era il più veloce), ma costui gliela fece pagare con gli interessi, giocandogli lo scherzetto che tutti videro. Da quel giorno, oltre a Merckx, Freddy si trovò tutti i belgi contro e se poi seppe vincere tantissimo, con ritmi da "Cannibale", fu solo perché la natura gli aveva dato qualità seconde solo a quelle di Eddy. Anche quando tornò dopo la caduta del Mugello, col polso trasformato e dolorante che gli impediva di essere quello di prima, la voglia di batterlo, magari di umiliarlo, continuò a persistere fra i fiamminghi.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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