Luciano Borgognoni, l'incompiuto

Quando si passa al professionismo, pur alla giusta età, ma si proviene da stagioni dove lo status di dilettante, era solo una classificazione contrattuale o economica, è meglio ritemprarsi e vivere la nuova dimensione, con molta attenzione. Per chi, come nel caso di Luciano Borgognoni, insisteva una bella realtà sulla scienza del ciclismo che era, è, e resterà la pista, era doveroso richiamarla, pensando più alle gare proposte sui velodromi, piuttosto che all'impatto immediato con la strada. Credo stia qui, il motivo principale del fallimento delle attese che si riponevano su questo varesino di Gallarate, davvero favoloso fra i dilettanti. Già, perché nel 1973, quando assieme al coetaneo Francesco Moser, passò professionista, i tecnici erano convinti che, fra i due, il futuro campione sarebbe stato il lombardo. Luciano era un passista veloce non molto alto e piuttosto tozzo, ma con tutti gli attributi giusti per farne un finisseur adattabile a molte classiche e alle piccole corse a tappe.
Oggi, ad un atleta del genere, sarebbe possibile tutto, e non solo per il miglior modo di sviluppare l'allenamento.... Resta il fatto che Borgognoni dopo aver messo assieme un grandissimo palmares da "puro", su cui svettava il titolo mondiale dell'inseguimento a squadre, vinto nel '71 con Algeri, Bazzan e Morbiato, si gettò a capofitto sul calendario professionistico su strada, perdendo via via quello smalto che, a mio giudizio, poteva essere raffinato e rilanciato. Dopo un '73, tutto votato ad inseguire sulle strade le medesime dimensioni della categoria precedente, senza raccogliere nulla e senza proporsi con convinzione sulla pista, trovò interessanti risposte nel '74, corso come il precedente in maglia Dreher, vincendo la tappa di Alghero nel Giro di Sardegna e il Giro del Friuli. Nell'unica puntata su pista conquistò il titolo italiano dell'inseguimento. Nel '75, passò alla Zonca Santini. Dopo aver chiuso il Giro d'Italia al 23esimo posto e con diversi piazzamenti nelle singole tappe, vinse il Circuito di Viareggio ed il GP Cemab Mirandola. Ancora un cambio di maglia nel '76, quando s'accasò alla Brooklyn, ma fu un anno nero. Un solo acuto, su pista, dove rivinse il tricolore nell'inseguimento individuale. L'anno successivo passò alla Vibor, cogliendo finalmente qualche segno di ciò che poteva essere.
Vinse dapprima la tappa di Capo d'Orlando al Giro di Sicilia, quindi la frazione di Foggia, nonché quella conclusiva di Milano al Giro d'Italia. In estate, trionfò poi nella Milano Vignola. Poteva essere l'anno svolta, invece, dal 1978, il suo declino apparve via via più intenso. Nella stagione colse il successo nella Cronostaffetta con Boifava, Panizza e Visentini e poi più nulla, salvo una parentesi su pista dove riuscì a raggiungere le semifinali al mondiali dell'inseguimento nel 1980. Portò la sua figura sempre più stanca, fino alla fine del 1982, quando appese la bicicletta al classico chiodo.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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