Gary Clively, da campioncino del pedale alla coscienza di Krishna...

Questo corridore australiano estroso come pochi, è stato uno dei primi " aussie", ancor dilettanti, venuti in Italia. Fu proprio la Romagna ad accoglierlo alla fine del 1973, attraverso il G.S. SIAPA (un sodalizio che fece epoca negli anni settanta), assieme al connazionale Clyde Sefton, medaglia d'argento alle Olimpiadi di Monaco. A portare questi due atleti sulle strade di romagnole, fu un loro connazionale, tanto particolare, quanto atleta con la maiuscola: John Luther, famoso per le sue traversate a nuoto da Cervia a Pola e residente a Milano Marittima. Costui, era legato al ciclismo direttamente, per lavoro, essendo impegnato nel settore commerciale della Shimano e fu proprio questo distinto signore, il primo importatore in Italia, di quei gruppi accessori della bicicletta che, via via negli anni, presero sempre più piede, fino a contrastare e superare la leadearship della Campagnolo.
Luther, consigliò i dirigenti del gruppo sportivo ravennate, sul buon investimento che ne sarebbe uscito ingaggiando ed ospitando i due connazionali. Ed effettivamente fu così, perché sia Clively che Sefton nella loro permanenza in Romagna fecero faville.
In particolare proprio Gary, giovanissimo e già maturo per divenire un riferimento di valore, per non dire l'uomo da battere nelle gare dal percorso aspro. Dal fisico asciutto e perfettamente sincronico all'ortodossia di un passista scalatore, Clively, nelle annate '74 e '75, imperversò letteralmente, vincendo diverse corse di valore, sia nazionali che internazionali. Notevole il suo successo nel Trofeo Pizzoli '75.
Pochi giorni dopo la strepitosa vittoria bolognese, appena ventenne, la Magniflex lo chiamò al professionismo e le prime gare parvero confermare il talento di questo ragazzo un po' scanzonato, tutto brio ed estro. Nel '76, infatti, colse subito un secondo posto nella Sassari Cagliari, poi un terzo nel Giro della Provincia di Reggio Calabria e finì il Giro d'Italia al 44esimo posto.
L'anno successivo, illuse i suoi tanti estimatori, chiudendo settimo la Vuelta, dopo diversi piazzamenti di tappa: ma quella fu l'edizione dove Freddy Maertens, annichilì ed oscurò proprio tutti, con tredici vittorie parziali e il successo nella classifica finale.
L'esplosione che si attendeva da Gary però, non venne mai, anche perché, dopo la Vuelta, il suo rendimento calò, ed a fine anno, senza motivi particolarmente evidenti, lasciò l'Italia e se ne tornò definitivamente in Australia, abbandonando il ciclismo, proprio quando il ranking non ufficiale del tempo, lo collocava al sessantesimo posto.
Si disse che Clively, venuto a gareggiare da noi ad appena diciotto anni, avesse pagato a dismisura la professionalità e la diversa competitività presente nella massima categoria; altri sostennero che non aveva la tempra per sacrificarsi, che soffrisse come un brasiliano di saudade; altri ancora erano pronti a giurare che il motivo fosse legato ad una infatuazione. Infine, un altro gruppo, probabilmente il più vicino alla realtà, dichiarò che Gary avesse deciso di lasciare in preda ad una crisi mistica, con tanto di adesione alla filosofia degli "Hare Krishna". Resta il fatto, che l'estroso aussie, si ritirò dalle scene e, prima di giungere alla sua terra natia, nello stato di Victoria, fra Carnegie, Geelong e Melbourne, un lasso di tempo, non so quanto lungo, lo passò davvero nel movimento dei Krishna e lo fece proprio quando si poteva ancora sperare in una sua consacrazione nel ciclismo.
Dopo l'abbandono, per oltre 10 anni, di lui non si seppe più nulla, poi, come d'incanto, più di due lustri dopo quel fulmineo abbandono a soli 22 anni, staccò nuovamente la licenza e ricominciò a gareggiare e....vincere. Evidentemente il sopraggiungere della maturità, ritemprò il suo fisico, mentre la mente, sempre vulcanica e con volontà d'avventura, rabberciò gli effetti degli errori o del mistico. Due anni dopo quel ritorno così impensabile, si laureò campione australiano su strada, suggellando una supremazia lungamente tangibile per tutta la stagione aussie. Vinse ancora tanto nel '90 (a 35 anni!) e, pure nel '91, conquistò qualche successo. Poi, un nuovo e stavolta logico abbandono: aveva capito che era davvero troppo tardi per rifarsi una carriera. Nel 1995, forse per rincorrere nuovamente i fantasmi di quel tempo che aveva scialacquato con leggerezza, riprese l'attività fra i master, con piglio tanto simile a quello che anima i professionisti italiani delle Granfondo. Corre ancora tutt'oggi.
Che dire? Stranezza, simpatia, sorriso da eterno bambino e qualità. Tanta qualità. Nelle stanze delle società romagnole, fra ruote e telai appesi e coi muri cosparsi di foto, si trova ancora qualcuno che ti dice: "Ci dovrebbe essere anche la fotografia di Clively, l'australianino che andava forte, caspita se andava forte!".
Bèh... fra le tante curiosità che mi ha lasciato il ciclismo, una è proprio quella di sapere, direttamente da questo mio coetaneo aussie, perché se ne andò così, a soli 22 anni. E quanto ha pesato sulla sua decisione, l'adesione agli Hare Krishna. Chissà, forse riuscirò a scoprirlo....
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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