Giovanni Cavalcanti e la Rinascita Ravenna

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Giovanni Cavalcanti era quasi sconosciuto, ma si impose all'attenzione della Rinascita con un biglietto da visita eloquente avendo strapazzato i favoriti rosso verde, Sambi e Savigni, in vetta alla Rocca delle Caminate quando vinse, con netta superiorità, il Trofeo Dall'Agata con la maglia della Sc Massese. Quella vittoria lasciò tutti stupefatti, perciò da quel giorno Cavalcanti entrò nel mirino di Italo Binzoni che lo qualificò: "Un cavallo da corsa da vestire in rosso verde". Militò nella Rinascita dal 1965 al 1968 dandovi 26 vittorie. Mite, taciturno al punto che solo con le pinze gli si sarebbe cavato qualche parola. "Calimero" (battezzato dai sostenitori per i suoi capelli corvini). Si ricorda come il corridore che non si lamentò mai di nulla; non aprì bocca neanche nei casi in cui molte altre società gli offrivano ponti d'oro rispetto al magro compenso che riceveva dalla Rinascita. Non conosceva la pignoleria in nessun caso, neanche nell'abbigliamento e nella bicicletta, che puliva alla meglio, controllava il funzionamento, ma nulla di più. Nelle corse però, Gino guardava al sodo ed era solito attaccare a 30 km dalla ... partenza; non amava l'affollamento, temeva i bidoni e le cadute e, così facendo provocava lo strappo per assottigliare i ranghi e muovere verso la parte più impegnativa della corsa dove piazzava la mazzata e, per distacco o in volata, molto spesso conquistava la vittoria. Forte scalatore e passista formidabile: vinse tutte, diconsi tutte, le gare a cronometro in corse a tappe o singole, individuali, in coppia o a squadre. Anche nelle tappe a cronometro del Giro d'Italia professionisti ebbe modo di evidenziare questa straordinaria qualità e, pur non avendo compiti e mire di classifica (ad eccezione del 1971, 54^ edizione che si classificò 10° assoluto), mantenne il miglior tempo per molte decine di arrivi successivi. Nel 1967 procurò, egli stesso provò, qualche amarezza per l'imprevedibile stagione un po' grigia, forse dovuta a ragioni che non interessano alla nostra storia. Ciononostante non perse una sola battuta, non marinò neanche una gara anche se talvolta non ne aveva gran voglia. Cosciente fino al punto di non fare mancare sia il suo generoso apporto alla squadra, che spesso risultò decisivo per la vittoria, sia la quota d'ingaggio che ara dovuta alla Società da parte degli organizzatori che tanto insistevano per averlo alla partenza e condizioni più remunerative. Così fino all'agosto quando decise di non lasciare passare una stagione in bianco. In un giorno d'allenamento transitò sulla Rocca delle Caminate nel tratto in cui qualche settimana dopo si sarebbe conclusa la Coppa Caduti di S. Martino in Strada; si fermò e tracciò una linea immaginaria attraverso la strada; ma, come al solito, non spiegò la ragione. In quella corsa si comportò in modo tanto attivo come non si era ancora visto in quell'anno; sempre nelle prime posizioni, presente in tutte le fughe poi, a 30 km dall'arrivo, vedemmo il "vecchio" Gino nei panni dei tempi migliori attaccare una sarabanda infernale da sbriciolare il consistente plotone e provocare la fuga a quattro incoraggiato da una valanga di incitamenti. Con Cavalcanti scatenato, alle loro spalle fu la resa incondizionata, restava la volata finale dato che si era notato che non era in condizione di staccare i compagni di fuga. Fine corsa, arrivo in salita, il forte Flamini attacca, Cavalcanti in quarta posizione, i due che ha davanti cedono, li scansa e ai cento metri ha un distacco di dieci metri da Flamini che sente profumo d'alloro. No. Questa volta proprio no. Gino aveva scommesso su se stesso, si alza sui pedali, recupera, vince; un po' si commuove mentre i rinascitini si strappavano le vesti, increduli di avere ritrovato il loro campione. Altro che ritrovato, l'anno successivo pagò il debito e restituì anche gli interessi vincendo 15 corse tutte di gran cartello, con imprese sensazionali tra cui la tappa del Tour de l'Avenir che concluse trionfatore per distacco sul mitico Puy de Dome. Abbiamo dato spazio al "grigio" perché quel colore si presentò una sola volta, il resto, tanto rosa da essersi abituati. Resta un aspetto inspiegabile: un dilettante di quella classe e di rara potenza, non fu mai inserito nella squadra azzurra ai mondiali. Doppio "mah"! se si pensa che da professionista fu titolare due volte con prove di straordinario valore per la squadra azzurra come dimostrò a Gap (F) nel 1972, animatore di una lunga fuga di un quintetto comprendente il suo capitano Bitossi poi beffato da Basso, e a Yvoir (B) nel 1975 dove attaccò con pedalate possenti negli ultimi due giri, accumulando un vantaggio tale da allarmare perfino un certo Merckx, che si fece carico in prima persona di andarlo a prendere. Come detto, passò professionista con una squadra che, pur allestita da persone di chiara buona volontà, definì un po' pellegrina, la Griss 2000. Forse anche per questo ebbe tempo e modo di prestare certi servizi a dei campioni poi in corsa per la vittoria e di questo, ne sa qualcosa anche Gimondi. Decise poi di collocarsi all'ombra di campioni come Bitossi, Gimondi, Adorni ai quali, per 10 anni, con troppa modestia e umiltà, ma tanta forza, fornì servizi che risultarono insostituibili per le loro grandi vittorie. Gino è rimasto nell'ambiente apprezzato e conteso, fisioterapista; da tempo continua a girare il mondo al seguito delle varie squadre per le quali lavora, ripercorrendo quelle strade e quelle salite che lo resero uomo di ciclismo di grande livello.
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