Lino Grassi e la Rinascita Ravenna

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Lino Grassi è stato il corridore che ha lasciato impresso, nella memoria e nel cuore della gente della Rinascita, di tanti appassionati e nel ciclismo dilettantistico nazionale, il marchio delle sue straordinarie imprese sportive. Ragazzo paziente, temperato, forte e deciso, autore di performance che, tra i dilettanti, sono rimaste mitiche. Dopo qualche tempo che era salito in sella e neanche con travolgente entusiasmo, ci si accorse, lui stesso avvertì, che possedeva talento. Grassi, per la Rinascita resta un corridore leggendario anche perché fu il primo a fare compiere alla Società rosso verde un balzo importante: dalla normale competitività, alle alte vette, alcune delle quali rimangono insuperate. Per rispetto dei fatti è onesto rilevare che, se ancora oggi la Rinascita gode di tanto prestigio e continua ad occupare saldamente un posto in prima fila nel novero dei sodalizi promotori di ciclismo più importanti e longevi in campo nazionale, si deve proprio a uomini come Grassi, perciò grazie a lui e ad altri insieme con lui se la Rinascita è potuta salire ad un tale livello. Grassi, ne indossò i colori nel 1952 e da quel momento si può dire che cominciò la vera storia agonistica della Società ravennate. Per merito suo, dopo alcuni anni di proficua attività, si aprì un capitolo nuovo, il trampolino di lancio per la scalata della Rinascita verso livelli di competitività che imposero l'esigenza della formazione, nel tempo, di squadre più adeguate e in grado di misurarsi con i più forti. Il gruppo dirigente ne fu convinto e il Direttore sportivo, Oscar Minzoni ne fu l'autore. Minzoni disponeva già di ottimi elementi, ma lavorò sodo, esaminò tanti atleti, selezionò e scelse dei ragazzi che anch'essi sarebbero divenuti dei corridori di primo piano. Quando Grassi varcò la soglia della Rinascita, trovò giovani atleti molto validi come Antonio Margotti, Rodolfo Castagnoli, Giuseppe Benamati e, più avanti, Vittoriano Andrini, Remo Ricci, Alfredo Babini seguiti a breve dagli emergenti: Arnaldo Pambianco, Gino Maioli, Fiorenzo Cavalieri e altri. Tutti vincenti e cementati tra loro dalla filosofia di Oscar Minzoni, sempre orientata ad un positivo spirito di corpo, amicizia, solidarietà, divisione di compiti, equa ripartizione dei "pani" secondo l'evolversi delle corse e le possibilità che si presentavano, ma era importante vincere! Di possibilità Grassi ne aveva all'infinito distinguendosi nettamente per la forza e la classe, infatti, negli anni 1952-1955 seppe elevarsi ai valori dei corridori più forti del mondo. Vinse tanto, ma importante, spettacolare, entusiasmante fu "come" lottò e vinse, con imprese che solo lui rese umanamente possibili, perciò memorabili. E' il caso di ricordarne almeno qualcuna: Milano-Reggio, Gp della Repubblica a S. Stefano, Trofeo Minardi, Giro Città delle Ceramiche a Faenza; Bologna-Marina di Ravenna, Gp della Cooperazione sia a Cattolica sia a Forlì, selezione del Gp Pirelli a Reggio E., Gp Presidente della Repubblica a Jesi, l'indicativa per i mondiali di Solingen a Perugia, la 4a indicativa per i campionati del mondo di Frascati che si disputò a Cerveteri, la Ruota d'Oro a cronometro individuale, argento ai mondiali di Frascati ecc.In tutte queste corse e in altre non citate, Grassi compì quasi tutte le azioni decisive, provocò le più severe selezioni, le lotte più entusiasmanti, i duelli più esaltanti dimostrando una superiorità talvolta schiacciante, anche in volata dopo sforzi prolungati, ma soprattutto per distacco. Partiva in pianura e in salita e spesso, nessuno riusciva a seguirlo e, nei casi in cui qualche temerario, a costo di uno sforzo fisico logorante, gli si fosse incollato alla ruota, poco più avanti avrebbe pagato lo scotto dovendolo mollare. A quei tempi, marciava ad andature paragonabili alle attuali, infliggeva distacchi abissali al termine di fughe solitarie perfino di 150 km. Forava, cambiava, inseguiva, raggiungeva fuggitivi e li staccava, come nel caso del Giro della Città delle Ceramiche a Faenza, a spese di un atleta della levatura di Mazzacurati. A Cosenza nel campionato italiano, Giuseppe Barale era andato in fuga da solo. Ad un certo punto, Grassi attaccò una rumba infernale, staccò tutti, agguantò il fuggitivo e si pose in testa a scandire l'andatura. Barale cominciò a scomporsi dando segni di cedimento e quando si accorse di non essere in condizione di reggere quel ritmo, supplicò Grassi di tenerlo alla ruota giurandogli che, all'arrivo, non si sarebbe sognato di disputare la volata, tanto gli bastava il secondo posto e questo anche in virtù del fatto che erano entrambi "azzurrabili" sotto la guida dell'allora Ct Proietti. Quel pollo di Grassi, si commosse come un vitello, si fidò, lo rimorchiò, perfino decelerando in qualche tratto impegnativo affinché reggesse fino al traguardo, sicuro della sua lealtà tanto da aumentare appena negli ultimi 200 metri per un minimo di spirito agonistico, ma soprattutto per godersi il meritato trionfo, pensando che da quel momento in poi avrebbe gareggiato con la maglia tricolore. Barale però, lo tradì nel finale superando agevolmente non un avversario, ma un amico, un altro "azzurrabile" che gli aveva dato la possibilità di arrivare fino a quel punto regalandogli una prestigiosa e insperata piazza d'onore, al quale, invece e indebitamente, fregò il titolo di campione d'Italia. Al mondiale di Frascati, furono in tanti a vederlo in televisione dove apparve indiscutibilmente l'autore dell'azione che provocò la fuga decisiva, il più forte durante l'intera gara e fino a pochi metri dall'arrivo. Finì battuto da un Ranucci che, fino a quel momento, aveva usufruito di quella ruota veloce fino al limite della decenza. Proprio su quel particolare finale, i commenti si sprecarono, tra i quali il più sgradevole di tutti fu che avrebbe venduto il mondiale. La realtà fu che Grassi diede tutto se stesso per la squadra azzurra, gareggiò lealmente affinché vincesse l'Italia e, dopo le tante energie spese a questo scopo, nella volata ne risentì. Nessuno intende biasimare coloro che gli rivolsero tante critiche, perché in gran parte erano originate dall'incredulità che un gigante ciclistico come lui avesse potuto perdere, e dal fatto che da gran tempo, aveva viziato i suoi sostenitori alle vittorie guadagnandosi grande ammirazione e il tifo che un grande popolo ciclista provava verso di lui. Grassi, come tante altre volte, arrivò secondo e basta, e la sua statura di grande atleta e di uomo, risultò intatta e tale rimasta nel cuore di tutti coloro che, come atleti o sostenitori, hanno vissuto la sua epoca. Il resto della sua carriera lo consumò nei professionisti nella squadra Legnano.
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