Storia di Lino Rossi

Lino Rossi - oggi in pensione - era stato un ciclista di talento negli anni cinquanta. Ma la sfortuna, che lo prendeva spesso ed accuratamente di mira, gli impedì di dar prova appieno delle sue capacità.

La sfortuna, quando si mette di mezzo, pedala sempre più veloce di te...

Accingendomi a celebrare Lino Rossi, onesto oltre che bravo ciclista riminese degli anni cinquanta, si rafforza in me la convinzione che questo atleta sia nato sotto astri contrari se non proprio nefasti. Pochi corridori possono, al pari di Lino, "vantare" di aver intrecciato un così lungo flirt con la sfortuna, con la tenebrosa dea dai "denti verdi" che i francesi chiamano guigne. Nato il 24 aprile 1929, si trovò a gareggiare nella categoria "allievi" nell'immediato dopoguerra. A metterlo in sella e ad impartirgli i primi rudimenti aveva provveduto Armando Battistini che già allora, a Rimini, era la massima autorità in campo ciclistico (Armando Battistini, dopo essere stato un ciclista dilettante di valore, diventerà meccanico ufficiale della nazionale italiana e si trasferirà a Roma alla corte di Elio Rimedio) e che, in quel tempo, aveva bottega in via Garibaldi, poco lontano da un altro leggendario atelier: quello di Daini. Gli furono compagni ed avversari su quelle strade disselciate, tra reliquari inquietanti e panorami desolati, Torsani, Semprini, Pascucci. Dietro l'angolo, in attesa, col cappello in mano, si preparava a fare il suo ingresso Leo Alessi. Allora, il diciottenne Lino Rossi aiutava il padre Michele nella sua attività di venditore ambulante di dolciumi. In quel periodo, oltre al lavoro, c'era posto soltanto per l'allenamento. Il suo cuore di adolescente, intanto, batteva forte, ascoltando le magistrali radiocronache di Mario Ferretti ed i sogni, tingendosi di rosa, ripercorrevano le imprese degli eroi cantati da Attilio Camoriano, Bruno Roghi, Emilio De Martino. Alla sede del Pedale Riminese, gli avevano dato un manuale che rappresentava la verità assoluta. Quello era la Bibbia, il Corano, i Libri Veda. L'aveva scritto Giuseppe Ambrosini, un avvocato positivista di Cesena, che in gioventù aveva giocato a tamburello con Renato Serra. Il titolo era perentorio quanto beneaugurante: Prendi la bicicletta e vai. Lì, in quelle pagine, con l'aiuto di disegni, diagrammi, illustrazioni, Ambrosini, il massimo esperto di ciclismo a livello mondiale, insegnava, servendosi di un periodare chiaro e semplice, tutto ciò che un corridore doveva sapere per svolgere la propria attività e per ottenere i risultati migliori in questa difficilissima disciplina. Mai il libro ebbe un lettore più attento e vorace. Andando a letto con i polli, alzandosi presto, divorando chilometri e chilometri, frullando un rapportino di poco più di quattro metri, Lino Rossi si preparava a diventare corridore. Amava gareggiare davanti. Correre in testa lo esaltava. Il ciclismo, come lo intendeva lui, non era sport in cui i colpi si dessero a patti, quindi non badava a risparmiarsi. Con falcate armoniose e con stile perfetto riuscì a mettersi in luce in ogni gara alla quale prese parte. Il passaggio tra i dilettanti avvenne nel 1948 sempre per i colori del Pedale Riminese, società allora presieduta dal sig. Giuseppe Lambertini, una bella figura di galantuomo e sincero appassionato. Molte attese confluirono su questo giovane mite, modesto e schivo, che sul mezzo meccanico riusciva ad assumere una posizione aerodinamica ed armoniosa ed era in grado di produrre una pedalata agile e redditizia, al punto tale che i tecnici, osservandolo, pensarono di dirottarlo verso la pista. Anche nel carosello vorticoso delle "americane", nell'impietosa e tecnica specialità dell'inseguimento a squadre, nelle estenuanti "individuali", grazie alla più nobile delle qualità fisiche che un ciclista possa avere: l'agilità, Lino Rossi riuscì a correre alla pari ed in certe occasioni ad imporsi, su quelli che rappresentavano il fior fiore della specialità. I nomi di tutti costoro sono ancora oggi noti agli appassionati: Franco Aureggi, Giancarlo Zucchetti, Vincenzo Zucconelli, Mino De Rossi. Dicevo della sfortuna. Il ricordo è un'arte creativa Nelle rievocazioni di Lino Rossi, per altro estremamente avare e pudiche, riaffiorano immagini frammentate, che concorrono a ricostruire l'unità di una biografia umana tormentata e sofferta in cui le difficoltà del vivere, gli impedimenti, i contrattempi sono le quotidiane stazioni di una via crucis che, debordando dalla pura vicenda sportiva, si ergono a segni implausibili della esistenza stessa. Nel 1948, a Ravenna, in una gara pre-mondiale, dopo aver forato in partenza, aver inseguito, essere rientrato, aver avuto la forza di andarsene in fuga con Nello Fabbri, un'ulteriore crevaison della gomma posteriore mandò in frantumi e vanificò la speranza di una affermazione di grossa portata. Ma incidenti e disavventure punteggiano l'intera carriera del ciclista riminese. Non c'è strada, non c'è gara alla quale egli non abbia pagato il proprio debito alla sfortuna. E pensare che non esiste al mondo corridore più meticoloso e perfezionista di Lino Rossi. A questo proposito, Giuseppe Minardi, il popolare "Pipaza", un campione dotato di classe e temperamento, capace di imporsi su tutti i terreni (da dilettante, nel 1949, si era aggiudicato la Milano Rapallo, il Trofeo Matteotti, e da professionista vinse il Giro di Lombardia, sei tappe al Giro d'Italia, il Giro di Campania, la Tre Valli Varesine, il Giro di Romagna, il Giro di Reggio Calabria, il Giro del Piemonte, il Trofeo Baracchi, in coppia con Magni, ed altre importanti gare) ama ricordare di un suo incontro con Lino Rossi: "Stavo percorrendo uno dei soliti inconcludenti, apparentemente assurdi, itinerari che rappresentavano l'entrainement di ogni giorno, quando raggiunsi due corridori che conoscevo. Erano i riminesi Alessi e Rossi, con i quali, in più occasioni, mi ero trovato a gareggiare. Dopo aver scambiato qualche parola, Rossi tolse, da una delle capaci tasche posteriori, alcuni piccoli panini, accuratamente avvolti nella carta stagnola. Me ne offrì uno, che io, affamato, mi affrettai, forse sgarbatamente, a scartare e ad addentare. Mai avevo assaggiato un panino più delizioso e soave di quello. Il pane al latte si liquefaceva al contatto delle labbra, la marmellata era squisita, il burro era stato spalmato in giusta misura. Ingollai strabuzzando e non potei trattenermi dall'esclamare: Me cun di panen icè a venz e zir d'Frenza! Ancora oggi vecchi suiveurs, dall'aria stranita, persi nel loro ipermondo fitto di ricordi, di nomi, di tatticismi, di tecnologie, seduti attorno ai tavolini di quei caffè che si assomigliano un po' tutti, laggiù nella sonnecchiosa bassa romagnola, rievocando lontane edizioni di una Coppa Renato Serra, di un Gran Premio Rizzoli, di un Gran Premio Berco a Copparo, di una Coppa Fontemaggi fanno il nome di Lino Rossi. Per i giovani che nulla sanno e per i quali la bicicletta è soltanto una questione di marca e di prezzo, tutto ciò è senilità; futili chiacchiere fatte da prostatici brontoloni, incapaci di capire la realtà. Non sanno purtroppo, che il ricordo, lungi dall'essere un vecchio arnese, subisce, attraverso la parola un continuo processo di ri-creazione. C'è una strettissima, inscindibile connessione tra il ricordo, il mito, il linguaggio, la storia, la poesia. Non divenne un campione Lino Rossi. Si impiegò nella Azienda Elettrica. Smise con il ciclismo dopo aver militato nelle squadre del Pedale Riminese, della Mengoli di Bologna e nel Pedale Ravennate. Ritornò a gareggiare da amatore ed ancora una volta la sua ruota incontrò quella velocissima di "re Leopoldo" Alessi. Senza gli isterismi e le esagerazioni, proprie di questa "categoria", Lino Rossi, lieve e signorile lasciò anche qui il suo segno e l'impronta della sua enorme classe. Quindi, in silenzio, com'è nella sua natura, si eclissò. Oggi in bicicletta ci va con la nonchalance e con la saggezza che l'età e la sua esperienza gli impongono. Per non so qual senso di timidezza, forse si trattava di soggezione, non mi sono mai accompagnato a lui nelle sue uscite. Sarò felice se potremo pedalare insieme.
......................................Enzo Pirroni
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