Roberto Poggiali

La sua interminabile carriera e le vittorie pure di pregio colte, non rendono a questo corridore toscano nato a Firenze il 16 aprile 1941, un atto sincero sulla sua tangibilità nella storia del ciclismo di due decadi. Roberto Poggiali è il classico corridore che se fosse vissuto in un'epoca come quella odierna, fatta di programmatori oltre ogni limite di ragionevolezza, sarebbe stato un campione considerato e riverito. Aveva tutto per emergere, ma doveva correre tutto l'anno il più possibile al massimo e, non essendo veloce, preferì aiutare, per gran parte della sua carriera, i compagni, in particolare Felice Gimondi e Francesco Moser, ai quali donò le sue non comuni ed indubbie facoltà.
Ciononostante, fu un evidente degli anni Sessanta e Settanta, un leader non riconosciuto come tale nelle enunciazioni dell'osservatorio, ma poi puntualmente presente nella sostanza. Un gran corridore, verso il quale resterà perenne, nel sottoscritto, un'immagine positiva e un'ammirazione ben superiore a quella riservata a campioni ricchi di presenze negli albi d'oro, ma che non riconosco con le medesime qualità di Poggiali.
La storia dello sport e del ciclismo in particolare, non va sempre letta sulle facciate, ci sono riferimenti e disquisizioni sottili che possono permettere una visione più precisa dei contesti e delle realtà e se sono qui ad innalzare Roberto, è solo per meri suoi meriti.
Gran dilettante, vinse tra l'altro il campionato italiano di categoria nel 1962, passò professionista presto, come si dovrebbe sempre fare, l'anno seguente, a ventuno anni e mezzo, senza seguire il miraggio delle Olimpiadi. Già alla prima stagione, corsa in maglia Lygie, chiuse bene il Giro al 24° posto, aiutando il dominio del capitano Taccone, nelle sue quattro tappe vinte consecutivamente.
Nel '64, scioltasi la Lygie, approdò alla Ignis: finì il Giro d'Italia al 14° posto, dopo esser stato terzo nella difficile tappa di San Pellegrino. In evidente crescita tecnica e d'approccio all'agonismo, Poggiali fu autore di una bellissimo 1965, legando il suo nome ad una classicissima come la Freccia Vallone, quel giorno resa "storica" dal debutto al professionismo (con immediato protagonismo prima del ritiro), di chi diverrà, di lì a poco, il più forte ciclista mai visto (per me anche il più grande atleta dell'intero sport), Eddy Merckx.
Roberto si trovò nella fuga decisiva a tre con Felice Gimondi e Tommy Simpson e lì batté sul traguardo di Marcinelle, con un perentorio scatto nel finale. Al Giro d'Italia finì 8°, dopo esser giunto terzo nella tappa di Firenze mentre in Spagna, nel Giro di Catalogna vinse la quinta tappa.
Nel '66 passò alla Bianchi, ma complice qualche acciacco di troppo, non trovò mai occasione di emergere. Chiuse comunque il Giro, al 21° posto. Nel 1967 s'aprì una nuova era per il forte corridore toscano. Felice Gimondi, che ben conosceva le qualità di Poggiali, lo volle in seno alla Salvarani e per Roberto iniziò un lavoro di gregariato di lusso, che gli tolse molte delle possibilità individuali.
Tornò a ruggire nel 1970, quando il bergamasco gli lasciò qualche licenza e lui, bellamente, trionfò nel Giro di Svizzera. Un'altra dimostrazione delle sue qualità la diede chiudendo la "corsa rosa" all'undicesimo posto, senza curare minimamente la classifica. Nel '71 vinse la Coppa Sabatini e, finalmente, fu convocato in azzurro per i Mondiali di Mendrisio, dove fu una pedina importante.
Nella stagione seguente vinse, col solito assolo, il G.P. Cannes, ed a fine anno, chiuse il suo sodalizio con Gimondi, passando alla Sammontana di Alfredo Martini assieme all'amico Franco Bitossi. Vinse la tappa di Monte Sant'Angelo del Giro di Puglia, chiuse il Giro al 12° posto, giunse 2° nel Giro del Lazio e nel G.P. di Castrocaro, mentre in azzurro, fu una pedina peculiare (finì 9°) nel trionfo di Gimondi al Mondiale.
Un nuovo capitano, Francesco Moser, ed un nuovo team, la Filotex, nel 1974. Nell'anno, in mezzo ai soliti e non elencabili tanti piazzamenti, colse i successi nel circuito di Magliano e, alla grande, nel Giro del Lazio. Si ritirò, dopo aver fatto il suo lavoro, ai mondiali di Montreal. Nel '75 vinse il Giro del Friuli, e giunse 18° al Mondiale. Nell'anno successivo, con già 35 primavere alle spalle, fu ancora importante per Moser e trovò il modo, oltre a finire tra i protagonisti la "corsa rosa" (12°), di vincere quel Giro dell'Umbria che, negli anni precedenti, gli aveva riservato due amari secondi posti. Azzurro ad Ostuni, fu anche in quella occasione una spalla importante per Moser.
Continuò a correre fino al '78, dimostrandosi in ogni occasione un faro del gruppo. Finita la carriera divenne direttore sportivo, ma in quel ruolo così importante soprattutto per i più giovani, non vi rimase molto tempo. Un peccato.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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