La storia di Valeriano Falsini, gregario dell'Airone

Nato a Reggello in provincia di Firenze nel 1928, passò tutti i suoi anni giovanili sui pedali. Da dilettante ottenne 19 successi di cui ben 11 nell'ultimo anno prima di passare professionista. Andava così forte che non ci volle molto per convincere Girardengo ad ingaggiarlo per il 1950.
Suo padre vendeva pentole di coccio, di qui l'appellativo il "pentolaio". Valeriano aveva sempre combattuto una doppia passione: la stima per Bartali, suo conterraneo oltre che inarrivabile campione e l'ammirazione incondizionata per l'airone di Castellania, da lui stesso sempre definito come il più grande campione dello sport italiano. Il destino volle che, proprio ad inizio stagione 1950, Falsini si trovasse in ritiro sulle strade liguri di Bordighera con la Girardengo. Erano le stesse strade di allenamento della Bianchi di Coppi e ci fu l'incontro con Fausto grazie alla complicità del fratello Serse. Valeriano non stava già nella pelle per il passaggio tra i professionisti, figuratevi poi quando Coppi nel conoscerlo gli disse di averlo sentito nominare per talento e lealtà sportiva fin da dilettante.
A fine anno, dopo una stagione positiva, gli arrivò una proposta dalla Bianchi di Coppi, la squadra più ambita del mondo in quel momento, e per Falsini fu una gioia immensa. Purtroppo Valeriano cominciava già ad accusare l'artrosi ai muscoli lombari, malattia maledetta quanto rara, che lo porterà ad interrompere prematuramente l'attività agonistica. Coppi lo fece curare come un fratello, lo portò con se nelle riunioni a pagamento estive e di fine stagione, ed infine gli regalò la bici con la quale aveva conquistato il titolo di Campione del Mondo a Lugano alla fine del 1953, quando Valeriano, piegato definitivamente nella postura e nelle velleità dall'artrosi lombare, appese la bici al chiodo. Dopo la tragica morte di Fausto, ogni anno Valeriano, in sella alla bici dell'Airone, il due gennaio percorre le rampe che portano alla tomba di Fausto e del fratello Serse. Un "omino" ricurvo sul manubrio con una maglia biancoceleste è ancora un angelo custode per il suo Capitano e ancora si commuove davanti alla sua effigie sportiva.
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