Storia di Giuseppe Buratti

Giuseppe Buratti nasce a Motta Visconti il 3 novembre del 1929. Non ha una vita facile; la guerra e gli stenti del dopoguerra sono un duro banco di prova per un ragazzino. Lo chiamano "Giusepìn" oppure "Buratìn", con un diminutivo che potrebbe nascondere un doppio significato. Il secondo significato non c'è proprio, anzi ... Il diminutivo è unicamente dovuto al fisico minuto e asciutto del ragazzo. Intanto, il Buratìn si fa i muscoli andando a cavar ghiaia col padre nel Ticino. Una vitaccia! Quando sfida qualche amico in bicicletta non sente nemmeno la catena. Cavar ghiaia è assai peggio! I compaesani lo spingono a correre e, forse, lo aiutano anche economicamente. Fin dalle prime corse si accorge di andare forte in salita e sposta il suo campo di allenamento sulle colline dell'Oltrepò. Non saranno le Dolomiti ma nei dintorni non c'è che quello. Vince diverse corse e tutte per distacco. Non può che essere così perché in volata è una cosa da piangere. Nel 1953 stacca la licenza da indipendente per il Velo Club Abbiategrasso e Pierino Bertolazzo, esperto direttore sportivo della Frejus, lo porta con sé già prima della Sanremo. Bertolazzo, che ha alle sue dipendenze due ottimi corridori come Angelo Conterno, il futuro "Penna bianca", e l'elegante Agostino Coletto, vuole un corridore capace di fare il diavolo a quattro in salita. E così il Buratìn, con addosso la maglia grigiorossa della Frejus, parte per il suo primo Giro d'Italia, deciso a dare battaglia in salita. Sogna le Dolomiti, si immagina alla ruota di Coppi, Koblet, Bartali, Fornara. Magni no, Magni sbuffa più indietro... forse può rientrare in discesa. Non fa nemmeno in tempo a vederle, le Dolomiti: un colpo di sole lo costringe al ritiro. Il salto nel professionismo è molto duro, i risultati non arrivano e, a fine stagione, il Buratìn resta senza contratto. La Frejus conferma Coletto e Conterno e prende Guido Messina. Per lui non c'è più posto e si profila un 1954 da disoccupato. Il 1954 è l'anno dell'avvento dei gruppi sportivi extraciclistici ed è così che, poco prima della "Sanremo", scende in campo la Doniselli. La casa di via Procaccini, che aveva avuto in passato qualche timido approccio con il ciclismo professionistico, trova come sponsor la Lansetina, un ditta di detersivi, e forma una squadra nella quale entra anche Buratti. In maglia gialloblù vince l'unica gara della sua carriera professionistica, il Giro delle Alpi Apuane, ma non gli basta per convincere il direttore sportivo Emilio Favalli a schierarlo al Giro. Favalli preferisce portare corridori vecchi ma di un certo nome come Toni Bevilacqua, Aldo Bini, Alfredo Pasotti, Serafino Biagioni. Il Buratìn va invece a fare la gamba sulle salite del Giro delle Asturie, dove si piazza quinto nella classifica finale ed è secondo in una tappa in cui erano, naturalmente, in fuga in due. Poi è terzo alla Nizza-Mt. Agel, classica per camosci. Ma la corsa che gli vale l'appellativo di "Trueba della Bassa" è il Giro dell'Appennino. Vicente Trueba Perez, soprannominato "La pulce dei Pirenei", era uno scalatore spagnolo di dimensioni ... tascabili degli anni '30. Un metro e cinquantaquattro d'altezza per cinquanta chili di peso, faceva fuoco e fiamme in salita, dove, con azione scomposta e irruente, faceva selezione per poi perdere tutto il vantaggio in discesa dove era un vero disastro. E' Rino Negri il creatore del nomignolo "Trueba della Bassa". Dopo il Giro dell'Appennino scrive su "Sport illustrato" un articolo dal titolo "La Bassa ha il suo Trueba". Effettivamente il Buratìn aveva fatto mirabilie sulla Bocchetta stabilendo anche il nuovo primato della scalata. Aveva rincorso e "seminato" tutti con il suo stile nervoso e piuttosto scomposto. Non avevano tenuto la sua ruota né Albani né Scudellaro. Aveva saltato Cabrioli, Volpi e persino il suo ex capitano Conterno e poi si era preso il lusso di togliere di ruota Pasqualino Fornara. In discesa era stato ripreso da Albani, Conterno e Cabrioli e così sul traguardo di Pontedecimo era giunto naturalmente quarto. Attilio Camoriano scrive: "Buratti è l'uomo del giorno. Buratti e salito sul Passo della Bocchetta come un camoscio, agile e scattante. E la gente, che non lo conosceva, gridava: 'Chi è?'. Rispondeva lui, perché fiato ne aveva da vendere: 'Sono Buratti'. Gli altri venivano su che sembravano vecchie locomotive: sbuffavano". Quando gli dicono che Binda gli ha messo gli occhi addosso per il mondiale di Solingen, il Buratìn si schermisce. L'ultima indicativa prima del mondiale di Solingen si corre sul percorso della Tre Valli Varesine e Buratti è un osservato speciale. Corre benissimo e in salita fa la differenza. Vanno via in sette e lui c'è. A Varese è primo Giorgio Albani, come a Pontedecimo, e il Buratìn è settimo. Alfredo Binda dà un primo elenco di dodici corridori tra i quali si riserva di scegliere gli otto titolari e la riserva viaggiante. E Buratti c'è. Il grande Alfredo, che notoriamente stravede per Coppi, decide di dare la massima fiducia a Fausto anche se non ha avuto una annata felice anche a causa dei noti problemi di famiglia, Nel 1953, a Lugano, aveva accontentato Coppi lasciando a casa Bartali in maglia tricolore ed era stato premiato con la vittoria del suo pupillo. Quest'anno lascia a casa il campione italiano Magni e l'estroso ma inaffidabile Defilippis. Lascerebbe volentieri a casa anche Fornara che non va tanto d'accordo con Fausto, ma il Pasqualino da Borgomanero ha appena vinto il Giro della Svizzera a allora non si può proprio. Inserisce i due scudieri più fidati di Coppi, Sandrino Carrea e Michele Gismondi e poi Coletto, Minardi, il romanino Bruno Monti e Giorgio Albani in forma strepitosa. E il "Trueba della Bassa"? Riserva viaggiante. Succede che Albani si ammala alla vigilia della prova iridata e Buratti parte per il suo primo e unico mondiale su un circuito poco adatto ai suoi mezzi. Obbedisce agli ordini, tira per dieci giri sotto il diluvio e poi si ferma ai box. Coppi non è in giornata. Vince Louison Bobet e Michele Gismondi è quarto. Nel 1955 Buratti è un corridore molto richiesto. Tutti attendono la sua definitiva affermazione. Corre per la Leo-Chlorodont. La squadra del dentifricio è molto ambiziosa e ingaggia Pasqualino Fornara, considerato il campione emergente, il velocista Rino Benedetti, il granatiere Pintarelli, alcuni uomini di notevole esperienza come Serena, Giudici e Bertoglio e una giovane promessa, Gastone Nencini, che alla Legnano non è riuscito a trovare spazio. Il Buratìn deve recitare la parte dell'uomo d'appoggio di Fornara in salita. Tutti aspettano Fornara e invece esce Nencini che rischia di vincere il Giro. Tutti aspettano Buratti e invece, non ricordo più per quale motivo, si ritira nella prima tappa. Ricordo una foto del Buratìn piangente, con la bici portata a mano lungo un tratto di strada sterrata, nel momento dell'abbandono..
Se ne dicono di tutti i colori. Qualcuno lo considera già finito a venticinque anni. Il Buratìn va in cerca di gloria e di riscatto sulle salite della Vuelta. Ritorna ad essere il "Trueba della Bassa": ottavo nella classifica finale, primo nel Gran Premio della Montagna, secondo in una tappa (naturalmente sono in fuga in due). Nel 1956 inizia in maglia Leo-Chlorodont poi lo cerca la Bianchi, per il primo anno vedova di Coppi. Il Buratìn è terzo al Giro dell'Appennino. Sembra rinato. Torna a far parlare i giornalisti. La maglia biancoceleste di Coppi ha fatto il miracolo? Va al Giro, atteso da tutti: qualche buon piazzamento, terzo nella cronoscalata Bologna-San Luca ma poi si ritira. Cerca di risalire la china sulle salite spagnole. Alla Vuelta è tredicesimo. Nel 1957 la Bianchi prova a scommettere ancora su di lui: ritirato al Giro d'Italia, ritirato al Giro della Svizzera. Nel 1958 el sciur Ambrogio Molteni scende per la prima volta in campo nel mondo del ciclismo alla vigilia del Giro con una squadra arraffazzonata all'ultimo momento. Chiama anche Buratti: ritirato al Giro d'Italia, ritirato al Giro della Svizzera, ritirato alla Vuelta. Nel 1959 e nel 1960 disputa qualche corsa da non accasato e poi appende la bici al chiodo.
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