Catullo Ciacci

Nato a Fossombrone (Pesaro-Urbino) il 4 maggio 1934, deceduto a Torino il primo giugno 1996. Passista veloce, alto m. 1,70 per kg 67. Professionista dal 1960 al 1963, senza ottenere vittorie.
Si potrebbe definire il popolare Ciacci, perché aldilà delle sue buone qualità di corridore, ha saputo nel dopo carriera, ergersi a riferimento dei luoghi nei quali s'era trasferito per il ciclismo. Un uomo generoso, bravo, padre di famiglia esemplare e sempre disponibile ad aiutare là dove il Sole c'è, ma nella sostanza giunge a metà. Era di Fossombrone, il buon Catullo, nella valle del Metauro, sulla via Flaminia, nel pesarese. In quel paesino conosciuto, potremmo dire da secoli, per quelle carceri che lì son sorte praticamente da sempre. Quel paesino che non lo ha mai dimenticato, anche se lontano per dimora da decenni, al punto di intitolargli recentemente una piazza. E lì, a Fossombrone, il ragazzino Ciacci, ha indossato la sua prima maglia da corridore in bicicletta, quella della Polisportiva Forsempronese. Era un giovanotto scaltro e potente, che sapeva sfrecciare nelle volate e nelle corse non troppo dure. Caratteristiche che non lo hanno mai abbandonato. Da dilettante in seno alla Semprini di Pesaro, divenne un riferimento per vittorie e simpatia. A fine 1955, la sua continuità ai vertici, spinse la Ceat di Torino, azienda che si stava lanciando col ciclismo come testimonial, ad assumerlo, sia come dipendente lavoratore, che come ciclista di punta per la formazione dilettantistica. Ciacci, tifoso torinista fino al midollo, si trasferì così nel torinese con un supporto aggiuntivo. Ed in Piemonte, la ruota veloce di Catullo, si determinò ancor più interessante. In quegli anni vinse diverse corse di peso, le più importanti furono il GP della Baraggia, la Torino Mondovì e la Nizza Torino. All'alba del 1960, l'indimenticabile Vincenzo Giacotto, lo portò alla professionistica Carpano. L'anno d'esordio non fu un granché come risultanze personali (il miglior piazzamento arrivò nel GP Ponzano Magra, 10°), ma si fece ben volere per disponibilità al gregariato, ed un buon Tour de Suisse, chiuso al 39° posto. Meglio, molto meglio, il 1961, corso con le maglie granata della Baratti, succursale, se così la vogliam chiamare, della Carpano. Nell'anno finì 2°, battuto solo da Van Looy, nella tappa di Trieste al Giro d'Italia. Non portò a termine la "Corsa Rosa", ma nel complesso si distinse in squadra ed aumentò, nonostante i non eclatanti risultati, la sua popolarità. Nel 1962, tornò verso la sua terra, accordandosi con la romagnola Ghigi e partecipò alla Vuelta di Spagna, dove giunse 5° nelle tappe di Benidorm e di Cartagena, dopo aver tirato la volata a Defilippis, nonché 9° nelle frazioni di Valencia e di Malaga, il tutto prima di ritirarsi per una indisposizione nell'undicesima tappa, che si concludeva a Valladolid. Partecipò poi al Tour de France, ma si ritirò nella 9° frazione, quella con la conclusione a Bordeaux. Nel resto della stagione si piazzò 3° nel GP Le Locle in Svizzera, 5° nella Verona San Pellegrino e 9° nella Milano Vignola. Lo scioglimento della Ghigi, lo riportò in Carpano, nel 1963. Nonostante fossero in lui forti i richiami per aprire un'attività di ristorazione, corse con la solita disponibilità al sacrificio. Nell'anno, fu 4° nel GP Mirandola e 13° al GP di Prato, ma si ritirò al Giro di Svizzera.
A fine stagione lasciò il ciclismo agonistico, ed abbracciò il suo sogno di aprire un ristorante-trattoria, divenendo negli anni un riferimento di Torino. Assieme alla moglie Rita, aprì dapprima un localino nella collina torinese, indi un ristorante assai più impegnativo sulle rive del Po e ingigantì la sua popolarità, ed il suo spessore umano, divenendo un protagonista di opere umanitarie in Africa. Poi, ad inizio giugno '96, un ictus se lo portò via.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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