Giovanni Fusar Imperatore e le maledette ventimila lire

20.000 lire, al conio attuale circa 10 euro, negli anni '70 del secolo scorso potevano fare la differenza, e per Giovanni Fusar Imperatore la fecero.
Fusar Imperatore nel maggio del 1971 al Velodromo di Roma stabilì il record mondiale dei 100 chilometri in pista. Nel medesimo anno fu incoronato campione italiano indoor dell'inseguimento, specialità per cui salì sul podio del campionato italiano per tre anni consecutivi, con il bronzo nel 1970 e nel 1971 e con l'argento nel 1972. Sua anche l'epica quanto sfortunata fuga solitaria di 150 chilometri, con un vantaggio di oltre 5 minuti sul gruppo, al Giro di Lombardia del 1970 vinto da Franco Bitossi.
Si ritirò dalle corse alla fine del 1972, a 25 anni, e dei campioni conosciuti nei suoi 3 anni di professionismo serba un ricordo indelebile: "Eddy Merks sorrideva sempre, come per scusarsi del fatto che sembrava avere un motore al posto delle gambe; Felice Gimondi era schivo ma generoso, venne addirittura al funerale di mio padre; Gosta Petterson alla vigilia del Trofeo Baracchi del 1970 mi chiese di sostituire il fratello Thomas febbricitante, ma Thomas guarì, vinsero, ed avrei voluto esserci io con Gosta; Ole Ritter mi raccomandò per sostituire un assente al GP di Lugano, corsi senza avere il tempo di provare il percorso, arrivai solo decimo e persi la possibilità di essere invitato al GP delle Nazioni il campionato del mondo a cronometro d'allora, Patrik Sercù fu uno dei miei capitani, ed era il ciclista più invidiato in quanto tra strada, pista e seigiorni guadagnava 300 milioni all'anno, il CT Franco Cribioli m'inserì nel terzetto della Cronostaffetta del 1970, e ripagai la fiducia arrivando terzo nella mia frazione, miglior risultato della nostra squadra; Guido Costa, CT della nazionale, mi portò al campionato del mondo di Marsiglia, dove nell'inseguimento arrivai sesto. L'amico più caro: Lorenzo Bosisio che a Roma, nell'attesa che partisse il giro d'Italia, mi convinse a tentare il record della 100 chilometri, fece da allenatore e prestò pure le ruote della sua bicicletta da pista".
A Giovanni è rimasto il cruccio di non essersi potuto permettere la sella da pista, con cui forse avrebbe superato Pietro Guerra nella finale del campionato italiano del 1972, ed il dispiacere per il rifiuto delle ventimila lire al mese in più che chiese per l'ingaggio della stagione 1973. Lo stipendio minimo stabilito dalla federazione era di 150.000 lire per 10 mesi all'anno, troppo poco per mettere su famiglia, e così il "ragazzo di Gaggiano" smise di pedalare ed andò a lavorare alla Standa.
Articolo inviato da: Angelo Gerosa
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