Doro Morigi

Nato a Campiano di Ravenna il 13 dicembre 1920. Passista veloce, alto m. 1,70 per 69 kg. Professionista dal settembre 1945 al 1949, con due vittorie su strada.
Grande figura del ciclismo romagnolo, a cavallo della Seconda Guerra Mondiale. Un corridore di valore internazionale, adatto alle corse di un giorno, perché sapeva tenere salite dure, mentre non si sperimentò su quelle lunghe ed in successione. Uomo con principi nitidi e di buon senso, deciso e grintoso quando il caso lo richiedeva. La passione per il ciclismo venne spontanea: dove nacque si lavorava quella terra che solo in lontananza faceva intravvedere alture e queste fungevano quasi come un obiettivo da raggiungere per sentirsi più pieni e per trasformare dei ragazzetti, in piccoli dominatori. Il ciclismo, lì, nasceva ancor prima di quantificarsi come lo sport più popolare. Doro arrivò come aspirante alla Treossi di San Pietro in Vincoli e le sue prime gare evidenziarono una stoffa rara. Ancor più questa si mostrò da allievo, quando all'indomani dell'Olimpiade di Berlino, entrò a far parte dell'A.S. Forlì, il sodalizio dove era cresciuto la gloria romagnola Glauco Servadei, uno che a Berlino aveva corso e s'era piazzato. Morigi cresceva, vinceva, ed i confini del suo estro vincente, ancor non si vedevano. Fra i dilettanti passò alla Malatesta di Ravenna e lui, incredibilmente per tanti, riuscì a crescere ancora. Vinse nella categoria una cinquantina di corse su strada e tante su pista, fino ad ergersi ad attrazione. Fu più volte azzurro, partecipò ai Mondiali di Valkenburg non ancora diciottenne, ed anche se fu costretto per una serie di guai al ritiro, seppe ugualmente mettersi in mostra. Vinse nel 1940 la Monaco-Milano, gara internazionale a tappe, nella quale colse pure la frazione Innsbruck-Trento. Trionfò nel prestigioso Criterium di Ausburg, in Austria, mentre su pista fece sua la "Giornata dell'Asse" al Velodromo Vigorelli di Milano. E poi s'affermò su strada in corse di prestigio nazionale, come la Torino-Biella, la Coppa Breda, il Gran Premio Pasquali a Bologna, la Coppa Arcangeli a Forlì e due volte la Coppa Malatesta a Ravenna. Arrivò il conflitto e la carriera di Morigi, come quella di tanti, venne deviata. Riprese a correre sul finire del 1945, da professionista indipendente, ed il 30 settembre vinse il Criterium di Ravenna. Nel 1946 corse con la Ricci di Milano e con questa maglia vinse la Coppa Circolo del Mare a Riccione e si piazzò 3° nella Coppa Aurora. Partecipò al Giro d'Italia con il Centro Sportivo Italiano, ma nella quinta tappa, la Prato-Bologna, dopo esser andato in fuga lungo l'ascesa di Collina con Bartali, Coppi e Cottur, vide svanire in discesa, a causa di una bruttissima caduta, una probabile vittoria di tappa, chiudendo lì quel Giro. Quella caduta gli cambiò itinerari e programmi, anche perché non considerandosi più l'atleta d'un tempo, capì che la pista consentiva guadagni più immediati ad un professionista indipendente come lui. E così, pur accasandosi con contratti determinati alla Wally, sia nel 1947 che '48, svolse una intensa attività su quei velodromi che stavano radunando folle incredibili. Si determinò specialista dell'americana, ed in coppia specialmente con Vicini, Magni ed il forlivese Rosetti, ma anche con altri, dominò a lungo sulle piste di Milano, Pesaro, Foggia, Bologna, Rimini e Forlì. Staccò la licenza anche nel 1949, correndo ancora su pista, ma da isolato, poi, a fine anno, mise il punto alla sua carriera. Ma non verso il ciclismo, perché dopo esser stato a lungo importante riferimento della Commisione Tecnica del ciclismo d'Emilia Romagna, divenne direttore sportivo dell'Edera Santo Stefano, un sodalizio dilettantistico che poi diverrà esempio di un ciclismo tanto bello, quanto, purtroppo, sparito dai nostri orizzonti.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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