Guglielmo Malatesta

Nato il 6 dicembre 1891 a Ravenna ed ivi deceduto l'8 novembre 1920. Pistard e stradista. Professionista nel 1909, indi nel 1919 e nel '20, senza vittorie su strada.
Guglielmo Malatesta, rappresenta la figura pionieristica per eccellenza del ciclismo ravennate, ed il primo atleta della capitale bizantina a partecipare alle Olimpiadi moderne. Tra l'altro, ci si trova di fronte ad uno sportivo estremamente precoce, se si pensa che si determinò ai vertici nazionali non ancora diciassettenne. Tutto nacque alla fine del 1906, quando un gruppo di volonterosi recuperò
il Velodromo di Santa Maria in Porto a Ravenna, che era stato lasciato allo stato d'abbandono. In poche settimane dalla riapertura, l'impianto radunò ciclisti d'ogni parte, ed ogni gara raccoglieva un pubblico straripante. Ed in poco tempo quelle manifestazioni assunsero connotati nazionali ed internazionali. Su quel tondino ravennate un ragazzino del luogo, alto e magro, con la maglia del Pedale di Ravenna, iniziò a raccogliere il tifo di tutti. Aveva solo sedici anni, ma se la cavava bene dappertutto: nella velocità, nell'inseguimento, sui 5 chilometri e, persino, sui 100 km. Insomma, un campioncino, che diventò campione quando vinse, nel 1908, le Eliminatorie per le Olimpiadi di Londra. Ed a Londra, l'ancor sedicenne Malatesta, andò. Nella velocità fu eliminato in batteria dal britannico Victor Johnson, che poi vincerà l'Oro, mentre nei 5000 metri, arrivò terzo nella sua serie, ma passava alla finale solo il primo, ed infine sui 100 chilometri, si ritirò. Tornato in Italia, continuò il suo protagonismo sui velodromi, mentre su strada, cominciò ad essere più tangibile al punto di iscriversi al primo Giro d'Italia della storia nel 1909, ma si ritirò. Abbandonate le velleità su strada, mantenne per anni i suoi valori su pista, ed iniziò a cimentarsi con profitto nel mezzofondo. Di Guglielmo Malatesta, il Corriere Padano, scrisse: "Fu un tipico esempio di correttezza durante la sua brillante carriera che gli permise di acquistarsi la stima e la fiducia dei corridori, degli organizzatori e dei dirigenti U.V.I. Dopo aver abbandonato la candida maglia del dilettante che lo rese popolare in anteguerra, passò al professionismo, facendo parte del lotto Umberto Dei, unitamente a Orlandi, Piani, Mori, Messori, Bergamini e Kaufmann. Il velodromo bolognese diventò il suo quartier generale, ma tutte le piste italiane lo videro allinearsi alle più famose "partenze"; dare tutto se stesso alle gare appassionanti con uno stile perfetto e una lealtà esemplare; vincere spesso, ben figurare sempre". Già, al professionismo vero e proprio arrivò nel 1919 e quando la sua vita fu troncata alla fine del 1920, da una tragica morte avvenuta per una coltellata infertagli da un birocciaio per motivi politici, lui era ancora in perfetta attività. Il fascismo, successivamente, s'appropriò della sua figura, facendone un martire, in realtà lui era un repubblicano che si scontrò coi socialisti, in quelle che erano zuffe tanto frequenti nel periodo. Ed i fascisti, che all'epoca della sua morte erano largamente minoritari, gli intitolarono una specifica Società Ciclistica, la stessa, che dopo il secondo conflitto mondiale, prese il nome di Pedale Ravennate.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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