Carmelo Barone

Nato ad Avola il 3 aprile 1956. Passista veloce. Professionista dal 1977 al 1984 con 12 vittorie.
Un talento precocissimo, che lasciò ben presto la Sicilia per trasferirsi in Toscana. Lo scopo: mettere in fila gli avversari come birilli, fino a raggiungere il massimo arco del ciclismo. Per diversi anni, l'intenzione trovò il conforto delle risultanze. Il fisico di Carmelo appariva compatto come pochi, con una muscolatura poco ciclistica all'apparenza, ed una capacità d'adattamento alla gara fuori dal comune. Le sue accelerazioni sembravano degne del passista di gran razza, magari alto almeno dieci centimetri più di lui e con le lunghe leve alla Ferdinand Bracke, mentre Barone era alto solo un metro e settantadue centimetri e le sue gambe erano più simili a quelle di un calciatore. In volata poteva reggere lo sprint con chiunque, se alla ricerca della fettuccia d'arrivo non erano troppi; mentre in salita soffriva, ma levarselo di ruota, era da gente con mille facoltà. Insomma, Carmelo Barone, da dilettante, fu uno dei più forti che il nostro ciclismo abbia mai espresso. Passò presto al professionismo, nel 1977, quando ancora doveva compiere i ventuno anni e questo fu un gran bene (come sempre d'altronde), ma poi, a parte i primi fuochi degni del passato, il resto, fu sempre più una brace in via di cenere. Nell'anno d'esordio, vinse la tappa di Martinafranca al Giro di Puglia, i Circuiti di Morrovalle e Firenze, la Coppa Bernocchi e il Trofeo Baracchi in coppia con lo svedese Johansson. Fu azzurro ai mondiali di San Cristobal, dove si ritirò non prima di aver fatto il suo dovere per la squadra che portò Francesco Moser all'iride. Nel 1978, anche per qualche acciacco, la sua flessione fu evidente: solo la vittoria nel G.P. di Montelupo, il Circuito di Castiglion del Lago e qualche piazzamento. Si rifece un poco nel 1979, grazie a molti piazzamenti e la vittoria nel Giro dell'Umbria. Fu azzurro sul circuito iridato di Valkenburg, dove si ritirò. Positivo il suo 1980, in virtù dei successi nella tappa dell'Isola d'Elba al Giro d'Italia, nel Giro del Veneto e nella Cronocoppie di Rovereto, in coppia con Francesco Moser. A queste vittorie aggiunse diversi piazzamenti. Fu ancora azzurro a Sallanches, ma per la terza volta si ritirò. Dopo il 1980, anche per tanti guai fisici, il suo rendimento crollò e si dedicò al lavoro di gregario, senza trovare più la luminosità necessaria per tornare al successo, salvo nel 1983, quando vinse il Circuito di Noto. A fine '84, a soli 28 anni, lasciò il ciclismo. Oggi, lo si può incontrare, nel suo negozio di biciclette, a Santa Croce sull'Arno, in provincia di Pisa.

Note.
Aldilà dei guai fisici che ne hanno limitato il rendimento negli ultimi anni, anche per Carmelo si può parlare di "sindrome da periodo". Il dualismo Moser-Saronni, infatti, aldilà del peso e del ruolo recitato direttamente dai due protagonisti, fu un'autentica tragedia per i giovani talenti del periodo. I media italiani si schiacciarono sul duo, fomentando, forse non solo involontariamente, un tifo che superò, sovente, la correttezza che ha sempre contraddistinto il ciclismo. Gli altri corridori pagarono non poco quella situazione. Sicuramente si trattava di atleti di non fortissima personalità, ma emergere in quel periodo, non era facile. Ne pagarono più di tutti le conseguenze i vari Baronchelli, Visentini e Battaglin, ovvero i più attrezzati per le corse a tappe, costretti a correre il Giro su percorsi che rappresentarono i tonfi più conclamati della luminosa carriera di Torriani e dell'intera storia della Gazzetta. I citati sbagliarono a correre troppo in Italia e a snobbare, di fatto, il Tour, ma anche per i corridori non particolarmente portati per far classifica in una grande corse a tappe, quella, fu una fase dove scottarsi era all'ordine del giorno. Un corridore come Carmelo, per le sue caratteristiche, in un ciclismo come quello di oggi, avrebbe raccolto molto di più e non solo perché il gruppo odierno è fatto di atleti più modesti rispetto ad un tempo. Nonostante le idiozie dei dirigenti internazionali sulla condizione di questo sport, infatti, il ciclismo di questo tempi, perlomeno in Italia, vive l'aria pulita che insiste solo quando i media non tirano fuori il cancro ammazza talenti, del dualismo con le relative totali attenzioni. Purtroppo, all'orizzonte, si paventa una rielaborazione del Moser-Saronni con un Basso-Cunego che sarebbe un colpo mortale per la disciplina. Spero vivamente che ciò non accada.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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