Jose Manuel Fuente Lavandera - El Tarangu

Di questo camoscio spagnolo delle Asturie, rimane intatto il ricordo per le sue doti di scalatore e per una simpatia dettata, certo da ragioni naturalmente presenti nel personaggio, ma pure per le sue infantili scelte tattiche che gli han tolto un palmares migliore, ma non nei termini che qualcuno sostiene. Jose Manuel Fuente Lavanderia, detto ben presto "Tarangu" in Spagna e "Cico" in Italia, non è stato un corridore facile, perché amava per indole, o necessità, gli estremi: bellissimo nelle vittorie e nelle imprese, sconsolante ed amarissimo nelle sconfitte. A suo modo, un istintivo che amava l'effetto, spesso con l'intrinseca convinzione di essere di ferro, ed imbattibile sul terreno che concepiva come unico: la salita, appunto.
Lui ed il pubblico non lo sapevano, ma nelle vene dell'atleta che schizzava in salita, insisteva uno squilibrio della giusta percentuale di glucosio nel sangue, oggi correggibile, ma non a quei tempi e ciò favoriva la nascita di scompensi tali da provocare crisi all'atleta. In sostanza, Tarangu Fuente, aveva bisogno più di ogni altro di far convivere l'attività con una dieta perfetta nella quotidianità e nelle corse, ed un'idratazione sempre ottimale. Il fatto di non saperlo, spiega molte cose, ma non elimina completamente il gap che l'ha separato dal top. Josè Manuel era forte, fortissimo, ma non era Pantani: gli era inferiore in salita, non tanto nella sparata, ma nella tenuta di alte velocità sulle pendenze; era abissalmente più scarso del cesenaticense in discesa e, pure a cronometro, fra i due non c'erano paragoni plausibili. E' dunque ragionevole credere che, aldilà del disturbo fisico e delle stupidaggini tattiche, potesse comunque perdere nelle amate corse a tappe, da un asso totale come Merckx, o dall'altro della sua epoca nettamente superiore agli altri, ovvero il connazionale Luis Ocana. Ed è mia convinzione, contemplando la sempre aleatoria e fumosa dottrina del "se", che un Fuente, pur con le sue mancanze, con avversari come gli altri della sua epopea, ovvero i vari Gimondi, Zoetemelk, Van Impe, Gosta Pettersson, Thevenet, Van Springel, Battaglin, Poulidor, avrebbe sicuramente arricchito il suo palmares di almeno un Giro e un Tour. Il motivo? Era decisamente superiore a costoro in salita, ed anche lui, con l'arrivo della sicurezza dettata dalla cementazione dei successi parziali, avrebbe diminuito l'esigenza di darsi quelle condotte tanto istintive, quanto disperate, che contro un Merckx o un Ocana, aumentavano in maniera decisiva la fatalità dell'insuccesso. La storia comunque, va vissuta con l'onestà delle evidenze e delle sostanze, ed ora, a scanso d'equivoci, salutiamo pure il "Cico", come un corridore che ci ha fatto divertire e che ha saputo donarci, nella sua breve ma intensa carriera, aloni di grande ciclismo. Applaudiamolo e, visto che non c'è più, formuliamo voti affinché la terra gli sia lieve.

La sua storia agonistica.
Spinto dall'ammirazione e dal tifo verso Federico Martin detto "Bahamontes", il giovanissimo Josè Manuel, capì ben presto che era il ciclismo il suo sport e, per questo, allontanò da subito le chimere del calcio. Divenuto corridore dilettante, come tanti-troppi spagnoli dell'epoca, concepì la sua crescita basandola solo sul giudizio totalizzante le attenzioni di quella terra: la bravura in salita. Qui, Josè rispondeva bene e al resto, a quei miglioramenti tecnici, soprattutto in discesa, che, a quella età, sono correggibili per doveri naturali, non diede caso. Il Fuente da "puro", termine strano nella cultura spagnola che per anni ed anni non ha mai sviluppato una facile distinzione nelle categorie, non era comunque uno che poteva far pensare a sfracelli nell'elite. Era uno dei tanti nella traduzione finale, perché la grandezza del suo scatto sulle pendenze, era spesso resa meno letale, da una partenza ad handicap: troppe volte si trovava tagliato fuori a monte per la sua incapacità di stare attento in gruppo e affrontare le salite da posizioni decenti. In Josè però, superati di molto i venti anni, s'era concepita la convinzione che non poteva aspettare: doveva assolutamente provare il professionismo. Per farlo al più presto, tentò la strada individuale nel '68, cogliendo pure un bel successo nel GP Caboalles de Abajo e nel '69, s'accasò in una squadra, la Pepsi Cola che, come la consorella italiana del periodo, bruciò le ambizioni con un progetto troncato senza soverchi motivi. In sostanza, anche la stagione di fine anni sessanta, per Fuente, fu ben poco prodiga di confronti probanti. Sulle soglie dei venticinque anni, l'asturiano s'accasò alla Karpy, una formazione degna e con diversi corridori di nota fra gli spagnoli del periodo. Il nuovo sodalizio diede a Josè, divenuto "Tarangu", la possibilità di farsi conoscere in maniera compiuta. Nell'anno, dopo un ottimo Giro delle Valli Minerarie, dove giunse terzo nella classifica finale e secondo nella tappa più dura, nonché nel successo in una tappa della minore Vuelta di Guatemala, trovò nel Catalogna l'effetto che cercava. Vinse infatti, per distacco, l'ultima frazione della seconda corsa a tappe spagnola, proprio in quel di Barcellona. Il successo lo lanciò in orbita Kas, il sodalizio monstre della terra iberica, che decise di ingaggiarlo per il 1971. Nacque così il lustro d'oro, di Josè Manuel Fuente.
La Kas lo schierò alla Vuelta, ma il fresco ritiro dell'asturiano complice una caduta, spinse i dirigenti del sodalizio a portarlo al Giro d'Italia e qui, Josè, si diede l'obiettivo di vincere la maglia di miglior scalatore attaccando su ogni vetta degna per prendersi punti. Attacchi sulle cime, ma anche distacchi nel finale di tappa: memorabile la crisi che coinvolse, per gli italiani il già divenuto "Cico", nella frazione del Grossglockner, dove partì a tutta per passare in testa sulla vetta e poi si sciolse in una crisi incredibile. Contraddizioni di comportamento che non gli impedirono di raggiungere la prima grande vittoria, grazie al suo scatto, nella tappa di Pian del Falco. A fine Giro, le sue altalene si tradussero in un 39° posto, a oltre un'ora e mezza dal vincitore Gosta Pettersson, ma con la certezza d'aver raggiunto lo scopo di vincere la maglia verde dei GPM, arricchita, tra l'altro, da un successo parziale. Un comportamento che spinse la Kas a portarlo pure al Tour de France, dove il Tarangu diede a tutti l'idea di che razza di scalatore fosse.
Dopo un inizio in sordina e tanti minuti sulle spalle, nella tappa pirenaica di Luchon, partì con uno scatto che ricordo bene sul Portet d'Aspet e scalò solitario anche il Mente e il Portillon giungendo al traguardo con 6'21" sui migliori regolati da Merckx. Si ripeté il giorno dopo a Superbagnères, giungendo solo dopo un perentorio acuto nel finale. Due vittorie di tappa, ma pure una instabilità derivata dal 72° posto finale e più di due ore di distacco da Merckx, che spingevano l'osservatorio a vedere in Fuente uno scalatore fine a se stesso, ed inimmaginabile come vincente in una grande corsa a tappe. La smentita arrivò copiosa l'anno successivo, alla Vuelta di Spagna, certo una manifestazione senza i nomi più grandi, ma pur sempre con un cast di buon livello e, soprattutto, lunga a sufficienza per verificare la tenuta dei corridori con velleità di vittoria. Bene, Josè Manuel, vinse alla grande.
Giunto al Giro d'Italia con le spalle coperte dal successo in patria, Cico provò a battere Merckx. Iniziò come meglio non si poteva, vincendo la frazione sulla Majella dove inflisse 2'36" al belga, ma subì tre giorni dopo sulle montagne calabresi, un attacco anticipato di Merckx, il quale gli sfilò la maglia rosa lasciando, a dimostrazione di quanto temesse lo spagnolo, la tappa allo svedese Pettersson che lo aveva aiutato nella fuga. Con Fuente, gli oltre quattro minuti di distacco, in quella frazione conclusasi a Catanzaro, se li beccarono anche gli altri favoriti compresi i vanamente attesi italiani. Ulteriormente distanziato dalle cronometro di Forte dei Marmi, Cico provò di nuovo la strada dell'attacco, nella tappa che si concludeva sulla ripida salita Jafferau-Bardonecchia. Qui, aprì le vaporiere dei critici per il criterio sballato scelto (ma almeno Fuente ci provava a staccare Merckx, non si limitava a seguirlo, tra l'altro ben poche volte con successo, sperando in una crisi del belga, come faceva qualcun altro sempre in cima ai pensieri della gente italiana...), attaccando in pianura, contro vento per affrontare l'ascesa finale già con vantaggio, ma il suo ritmo calò, ed il "Cannibale" lo riprese e lo staccò a sua volta. Fuente non si diede per vinto e riprovò sulle cime della tappa di Livigno, ma ancora una volta, grazie soprattutto alla sua abilità di discesista, Merckx ritornò su di lui e lo staccò tangibilmente. Cocciuto, ma bello da vedere nella fierezza del suo modo di giocarsi le carte per vincere, Cico riprovò sullo Stelvio e stavolta lasciò il Cannibale a 2'05". Il Giro per lui praticamente finiva lì, ma alla fine, quei 5'30" che lo divisero da Merckx, se li era giocati e non era colpa sua se uno come il belga, possedeva troppe facoltà.
Nel 1973, gli obiettivi di Fuente si concentrarono nuovamente sul Giro con l'aggiunta del Tour, ed un passaggio comunque di pregio sul Tour de Suisse. Non fece la Vuelta, dove si scontrarono in una regolazione di conti, gli unici, ripeto, gli unici corridori più forti di Tarangu nelle corse a tappe di quel lustro: Merckx e Ocana. Al Giro, il miglior Merckx di sempre, non gli lasciò scampo e si salutarono gli attacchi dello spagnolo (stupenda la sua vittoria ad Auronzo di Cadore), come una variabile necessaria per far capire che c'era qualcuno a stuzzicare un marziano. Per il terzo anno consecutivo Cico vinse la classifica del GPM, ma non salì sul podio.
Il Giro di Svizzera, invece, salutò con un vero e proprio dominio, il suo secondo successo in una importante corsa a tappe, ma al Tour de France, aldilà di tutte le distorsioni atte a far parlare o ingigantire le attese, Fuente fu piegato da uno che gli era superiore anche da prima: Luis Ocana. Tarangu lottò, perdendo per questo un possibilissimo secondo posto, ma il connazionale era di un'altra pasta, punto. Finì terzo, superato anche da Thevenet. Su chi lo aveva superato al Tour '73 però, si prese una gran bella rivincita alla Vuelta di Spagna '74. A contrastare il successo finale di Fuente fu il portoghese Agostinho (compagno di squadra di Luis) che lo impegnò al punto di giungergli a soli 11" nel foglio amarillo conclusivo. Ocana giunse quarto a 1'59 da Tarangu, che seppe mantenere la maglia leader per 12 tornate, mentre Thevenet si ritirò.
Arrivò così il Giro d'Italia, che vedeva alla partenza il Merckx meno preparato della storia, vittima com'era stato in primavera di vari acciacchi che l'avevano costretto a disertare parte delle classiche e quelle poche perderle. Fuente, come sempre, attaccò per vincere e non per piazzarsi. Vinse cinque tappe, restò 12 giorni in maglia rosa, ma alla fine pagò la crisi che coinvolse nelle due tappe liguri. Dietro Merckx arrivarono Baronchelli e Gimondi e lui, forse il più forte di quella edizione, si dovette accontentare del quarto posto, dei singoli traguardi e della quarta vittoria consecutiva nella classifica del GPM.
Nel 1975 i suoi problemi fisici, mai concepiti prima, cominciarono a manifestarsi copiosamente e le sue flessioni furono palpabili: un solo successo in una corsa minore francese. Nel 1976, riuscì a vincere una tappa della Vuelta delle Valli Minerarie e poi lo stop imposto dai medici per una grave infezione renale. Finiva lì, la carriera di una delle icone degli anni settanta. Continuò a dedicarsi al ciclismo come direttore sportivo e, soprattutto come organizzatore, poi il 18 luglio 1996, l'irreparabile se lo portò via.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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