Storia di Giuseppe Olmo

In un mattino d'inverno, ai primi del 1924, un ragazzino in sella a una bicicletta affiancò Giuseppe Olivieri, il campione ligure dei tempi di Girardengo che stava sostenendo uno dei soliti allenamenti sul tratto di strada che unisce Celle Ligure a Savona.
Erano gli anni del ciclismo epico, le corse vivevano delle gesta di grandi campioni e quella mattina, con l'impeto tipico di chi ha già un destino scritto, si affacciò su quel mondo Giuseppe Olmo.
Tredici anni, tornando da scuola, con i libri legati al telaio. La bici non era sua, ma di uno zio che, avendone bisogno nel pomeriggio, non gli permetteva di modificare sella e manubrio. Così, nonostante una posizione poco corretta, il giovane ligure raggiunse senza troppa fatica un corridore di rango come Olivieri che, di lì a qualche anno, sarebbe diventato suo inseparabile allenatore e consigliere.
Arrivò alle corse quasi per caso, ma seppe farsi valere nell'epoca in cui c'erano a dettar legge campioni del calibro di Binda, Guerra, Bini, Piemontesi e Bartali. Si trovò al centro di un conflitto generazionale, i giovani premevano sui vecchi e c'era il rischio di esserne soffocati, ma si mosse nelle pieghe di quel ciclismo con il passo sicuro del campione.
Dopo un rapido "rodaggio" tra gli esordienti, si mise in luce vincendo, da dilettante, il Giro del Sestriere del 1932. Non era decisamente uno scalatore, ma piuttosto un passista veloce, ma la salita non lo intimidiva. Affrontò il Sestriere dal versante più duro, quello di Cesana e bruciò allo sprint tre compagni che con lui avevano preso il largo sui tornanti del mitico colle alpino.
Ben dotato fisicamente, ma non certo all'altezza dei più forti, riusciva a trarre dalla sua grinta la spinta necessaria per ben figurare al cospetto dei grandi. Ciò che stupiva era il suo carattere. Il suo estro e la sua imprevedibilità lo portavano a trovate e improvvisazioni di ogni genere, che a volte gli guadagnavano l'astio degli altri corridori.
I brillanti risultati conseguiti da dilettante gli valsero le convocazioni in nazionale in occasione dei mondiali del '31 in Danimarca e delle Olimpiadi del '32 a Los Angeles.
Il mondiale, unico a cronometro nella storia del ciclismo, lo vide secondo, al termine di una prova lunga ben 172 chilometri, dietro il danese Hansen.
Le Olimpiadi prevedevano una prova a cronometro sulla distanza di cento chilometri. Vinse, contro ogni pronostico, il piacentino Pavesi, che precedette un altro italiano, il veneto Segato. Olmo fu solo quarto, alle spalle di Hansen, ma il suo piazzamento consentì alla nazionale di vincere la speciale classifica a squadre.
Sotto la guida di Olivieri, che per primo ne aveva intuito le possibilità, si avventurò nel professionismo, con la grinta e la determinazione che, già all'esordio, gli consentirono di aggiudicarsi una Milano-Torino, sotto gli occhi sbalorditi di Binda, Guerra e di addetti ai lavori colti alla sprovvista.
Difendendo i colori della Bianchi, ormai ben più di una promessa, affrontò il suo primo Giro d'Italia nel 1933, aggiudicandosi la tappa Riccione-Bologna davanti al lombardo Bovet e a Binda.
Le successive partecipazioni alla corsa rosa lo videro protagonista di primo piano, interprete di un sorprendente crescendo di risultati: tre tappe nel 1934, quattro nel 1935. Nel 1936 arrivò ad un passo dalla vittoria finale, giungendo a 2'36" da Bartali che non ebbe certo vita facile. Vinse ben dieci delle ventuno tappe in programma e tra queste anche la Rieti-Terminillo, proprio lui che non amava definirsi uno scalatore. Terminò il Giro, corso sempre a livelli altissimi, con un distacco irrisorio dal toscano pressato e asfissiato fino all'ultima tappa.
Come già da dilettante, anche da professionista il suo carattere lo rese protagonista di alcuni episodi curiosi. Nel Giro del '34 ad esempio, alla partenza della tappa Genova-Livorno, Cavedini, responsabile della Bianchi, gli aveva più volte raccomandato di fare una corsa tranquilla, lasciando ogni iniziativa agli altri. "Aspetta le mosse dei più forti e prendigli la ruota. Se arrivate in volata, la vittoria non può sfuggirti". Olmo fece intendere di aver capito la lezione, ma, con il suo solito spirito di contraddizione, partì in fuga solitaria dopo pochi chilometri, causando notevole imbarazzo a Binda e Guerra. Fu ripreso da un gruppetto di inseguitori a pochi chilometri dal traguardo e finì con l'arrivare secondo alle spalle di Guerra, ma, non era un mistero, il suo unico scopo era quello di far imbestialire i due super favoriti.
La Milano-Sanremo lo vide vincitore per ben due volte, nel 1935 e nel 1938. Nel '35 Bartali indispettito con Bini a causa di un traguardo volante, attaccò sul Capo Cervo e staccò tutti, puntando in solitudine verso Sanremo. Nel finale però, Guerra, Olmo e Cipriani riuscirono a raggiungerlo e, dallo sprint a quattro, uscì vittorioso Gepin Olmo. Bartali era furioso, sosteneva che i tre erano riusciti a rientrare sfruttando la scia delle automobili, che la vittoria gli spettava di diritto. Lo stesso Olmo, in seguito, ebbe modo di dichiarare che Bartali aveva ragione; la strada non era larga, le auto passavano vicine, una dietro l'altra. Ne approfittò anche lui e che senza le compiacenti scie motorizzate non avrebbero mai ripreso Bartali.
Il 1935 è anche l'anno del record dell'ora. Il primato apparteneva al francese Maurice Richard, che lo aveva stabilito il 29 agosto 1933, percorrendo 44,777 chilometri.
Il tentativo di Olmo fu quasi improvvisato, frutto della lungimiranza di Anteo Carapezzi, che bene valutò la potenza e l'agilità che rendevano Gepin particolarmente adatto a un tentativo del genere. Alla presenza di "quattro gatti", come ebbe a dichiarare lui stesso, in un pomeriggio piovoso dell'ottobre 1935, il campione ligure attaccò il record di Richard, stabilendo, il nuovo primato con 45,090 chilometri percorsi, primo nella storia ad aver superato il muro dei 45 chilometri.
Nel 1938 Gepin conquistò la sua seconda Sanremo. Non pronosticato tra i probabili vincitori, si aggiudicò la classicissima di primavera alla media record di 38,517 chilometri all'ora.
La seconda guerra mondiale mise fine alla sua carriera agonistica, ma non certo alla sua intraprendenza e alla sua voglia di ciclismo. Appesa la bicicletta al chiodo, iniziò la sua produzione di biciclette nello stabilimento di Celle Ligure. Al termine del conflitto, affiancò all'industria ligure la produzione di pneumatici e tubolari, adattandosi, per i primi tempi, a un capannone diroccato, reso pericolante dai recenti bombardamenti, alla periferia di Milano.
Creò dal nulla una redditizia e valida attività produttiva, affidando a suo fratello e ad altri membri della sua famiglia la conduzione dei numerosi impianti industriali attivati con gli anni.
Fu un corridore elegante e di gran classe. Ed elegante fu anche nella vita privata, non mancò mai di tributare il giusto rispetto agli avversari e la dovuta gratitudine a quanti si prodigarono per lui. Forse fu il primo corridore attento all'abbigliamento e al modo di proporsi al pubblico; molto attento a tutti i dettagli, fece di questa sua precisione uno stile di vita.
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