Storia di Loretto Petrucci

Arriva alla Bianchi nel 1952 ma l'avventura era iniziata nel 1947 al compimento dei diciotto anni con la maglia della Pistoiese. Era partito assecondando un preciso impulso che già da qualche anno avvertiva dentro di se. Partecipa alle Olimpiadi di Londra, vince dieci corse al primo anno da dilettante, si ferma per una intera stagione per un'appendicite, passa alla Legnano come "indipendente" e quindi arriva al professionismo. Infila la maglia della Taurea di Torino, la stessa di Astrua e Martini, e arriva terzo alla Sanremo, una specie di presagio. Era il 1951 e l'anno dopo è chiamato alla corte di Coppi; gli accordi erano chiari tutti a disposizione di Coppi nelle gare a tappe, tutti con lui in quelle in linea anche se in pratica furono spesso disattesi.
Si presenta come passista veloce e non si smentisce; si rende protagonista di due fenomenali stagioni (1952-1953) nelle quali vince addirittura due Milano-Sanremo, una Paris-Bruxelles e la prestigiosa "Desgrange-Colombo" (antenata dell'attuale Coppa del Mondo), lanciandosi prepotentemente quanto inaspettatamente ai vertici del ciclismo internazionale a soli 24 anni.
Un avvio fulminante ed esplosivo cui però non corrispose un prosieguo di carriera altrettanto positivo sia per un carattere esuberante (poco ligio ai doveri della vita d'atleta, con scarse capacità di concentrazione sull'attività agonistica) che per qualche inimicizia dei grandi assi (pare che pure Coppi non gradisse molto la prorompente ascesa del più giovane e talvolta irriverente compagno di squadra). La situazione si era fatta insostenibile, andava avanti litigando in continuazione con qualsiasi della squadra. Tiene duro fino alla metà del 1953, poi Coppi vince il mondiale e lo affossa definitivamente. Erano tutti per Coppi, stampa compresa, allora Petrucci lascia la Bianchi, ma Coppi e Cavanna continueranno a rendergli la vita impossibile. Fu Favero, uno di loro, a trattenerlo per la maglia l'anno dopo, proprio mentre stava per vincere la sua terza Sanremo. Pagava cara la sua spavalderia, la sua ambizione sfrenata; era orgoglioso e su certi percorsi non temeva nessuno e la sudditanza non gli andava giù. Si spiegano anche in questo modo quindi le delusioni accumulate nella seconda metà degli anni '50 quando non riusce più ad emergere dalla mediocrità, chiudendo mestamente una carriera che avrebbe potuto essere ben più prestigiosa e rimanendo per molti anni (ben 17) famoso soltanto per essere stato "l'ultimo vincitore italiano a Sanremo". Esce di scena in silenzio nel 1956, nauseato dall'ambiente anche se correrà fino al 1960 da individuale senza cogliere nessuna affermazione.
Dopo aver smesso svolge vari lavori poi nel 1968, a trentanove anni, compie una pazzia; si tessera per la 18 Isolabella di Lugano. Partecipa a qualche circuito, ma sarà una parentesi breve.
Successivamente qualcuno gli propone di rientrare nel giro, di organizzare e lui si lascia convincere. Comincia ad organizzare qualche tappa del Giro in Toscana, prende in mano le sorti della Pistoiese, creando una buona squadra, ed infine diventa "quello della Firenze-Pistoia". Questa cronometro, nata per caso in occasione del Centenario della Federazione Ciclistica Italiana, diventa una classica nazionale di fine stagione.
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