Storia di Mario Vicini

Nato a Martorano nel 1913, "èo Gagg ad Gaibèra" (così chiamato per il colore rossiccio dei capelli e il soprannome della famiglia) si cimenta nell'attività agonistica nel 1931 senza mettersi particolarmente in luce. Anche l'anno successivo non registra risultati di rilievo. Bravo sul passo, denota difficoltà quando la strada comincia a salire. Si stacca facilmente e neppure la spericolatezza in discesa riesce a farlo recuperare. Limite questo di non poco conto se si pensa che nella sua regione (Romagna) praticamente non esistono corse senza salita. Grazie all'amico Angelo Carghini, buon arrampicatore di Sogliano al Rubicone che lo assiste nel corso del 1932 durante gli allenamenti prodigo di consigli, acquista gradualmente padronanza trasformandosi in scalatore. Nel 1933 dilettante di quarta categoria con la Renato Serra, richiama l'attenzione del commissario della F.C.I. per l'Emilia Ferruccio Berti in virtù di coraggiose imprese e di un ottimo rendimento. Ottiene 14 vittorie arrivando al traguardo in solitudine dopo aver piantato tutti in salita, in pianura, in discesa. Il primo successo lo consegue a Roncofreddo nella Coppa del Rubicone, seguono le vittorie a Forlì, Ravenna, Savignano, Montescudo, Pesaro, Longiano, Bubano (qui raggiunge i dilettanti della categoria superiore partiti cinque minuti prima e vince con 14' di distacco). Sul finire di stagione conquista la vittoria più bella nella Coppa Città di Cesena che vede in lizza i migliori dilettanti della regione. Queste gesta gli valgono larga popolarità: il numero dei tifosi cresce e, in breve, diventa l'idolo degli sportivi cesenati. Un notissimo meccanico di biciclette della sua città gliene costruisce una su misura offrendogli tutto il corredo necessario e la propria assistenza in corsa. Addirittura su Gaibèra vengono scritte poesie e cantate canzoni.
Nel 1934 presta servizio militare a Rimini riuscendo tuttavia a partecipare ad alcune corse, due delle quali lo vedono vittorioso per distacco: a Pesaro e nella Rimini-Firenze, una tappa del Giro d'Italia dei Giovani Fascisti. Nel 1932 ottiene 8 vittorie, tra le quali la Coppa Tamburini a Pesaro, il Circuito delle Camminate con la triplice scalata della Rocca e il Giro delle Due Provincie Romagnole. La carriera da professionista, che lo vede impegnato fino agli anni cinquanta, inizia nel 1936. Dopo una sfortunata Milano-Sanremo, partecipa al Giro d'Italia in cui è spesso in evidenza risultando 17° in classifica e 2° degli isolati. Ben piazzato nel corso dell'anno in diverse gare ottiene una vittoria in una tappa del Giro delle Quattro Provincie. Nel 1937 è ingaggiato dalla Ganna e ancora una volta è sfortunato sia alla Milano-Sanremo (è nel gruppo di testa quando gli si rompe il cambio) sia al Giro d'Italia (è nei primi dieci in classifica, ma nella tappa Rieti-Roma cade fratturandosi la clavicola).
Nel Tour de France corre da isolato e si rivela uno dei più forti scalatori. Magnifico combattente, dominatore in salita, spericolato in discesa, brioso sul passo porta a termine la corsa classificandosi 1° degli isolati e 2° nella classifica generale. Nel 1938 passato alla Lygie ottiene uno strepitoso successo al Giro di Toscana (307 km con dure salite) relegando a più di undici minuti i più immediati inseguitori. In seguito risulta in bella evidenza fin dalle prime battute al Giro d'Italia dove vince la seconda tappa conquistando la maglia rosa. Ma questa corsa sembra stregata per lui: pochi giorni dopo cade in discesa ed è costretto al ritiro. Ritorna al Tour e si classifica 6° un piazzamento ottimo ma al di sotto delle sue possibilità: con maggior fortuna avrebbe potuto concludere alle spalle del vincitore Bartali. Selezionato per i mondiali di Valkenburg deve ritirarsi per la rottura di un forcellino.
Nel 1939, sempre con la Lygie, dopo essere stato battuto in volata da Bartali al Giro di Toscana, è finalmente tra i protagonisti del Giro d'Italia classificandosi 3°. Durante l'estate veste la maglia tricolore risultando primo nella classifica del campionato italiano disputato in tre prove di cui una, il Giro del Lazio, lo vede vittorioso: è il primo corridore romagnolo a laurearsi campione italiano dei professionisti.
Nel 1940 corre con la Bianchi: entusiasma alla Settimana ciclistica di Tripoli, si aggiudica l'impegnativa Coppa Marin a Padova, il circuito di Prato e due tappe consecutive al Giro d'Italia che porta a termine con un 4° posto in classifica. Dal 1940 al 1946, anche a causa della guerra, svolge un'attività discontinua che lo vede brillante protagonista della Gran Fondo delle Provincie Lombarde di 522 km (1941) primo nel G.P. Città di Rovigo (1942), secondo a Roma nel campionato italiano battuto in volata da Mario Ricci (1943). Non in forma partecipa con la Viscontea al primo Giro d'Italia del dopoguerra nel 1946 ritirandosi. Lo smalto dei giorni migliori si sta offuscando, ma Gaibèra, facendo appello al temperamento, riesce ancora a proporre sprazzi di buon livello nel corso del 1947 al Giro del Piemonte (3° dopo una lunga fuga) e al Giro d'Italia che conclude al 7° posto dopo essersi prodigato per la vittoria di Coppi suo capitano nella Bianchi.
Appesantito dall'età, non più uomo di punta nelle squadre in cui corre, il cesenate raccoglie pochi risultati di rilievo negli ultimi anni della sua lunga carriera. Tra questi meritano una citazione il 6° posto nella Sanremo del 1950 e, sempre nello stesso anno, il 18° nella classifica del Giro d'Italia in cui, pur condizionato come gregario, riesce ad esprimersi ancora con una condotta di corsa generosa e garibaldina che gli vale diversi piazzamenti.
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