La morte di Fausto Coppi

Alle 8.45, sei rantoli sordi e poi il nulla. Era il 2 gennaio 1960. Quei rantoli erano stati l'ultimo messaggio terreno di Fausto Coppi, morto di malaria, al di là dei dubbi che qualcuno sollevò qualche anno dopo. A confermarlo, inequivocabilmente, quel bacillo che fu isolato e dimostrato nei vetrini. Quel che è duro accettare, è il motivo sul quale ancora oggi e per sempre rimarrà perenne rammarico, è come dei medici, alcuni pure famosi, non siano stati capaci di capire nei tempi utili quella malaria. Coppi l'aveva già avuta durante la guerra, quando era sul fronte africano e lì, privi di macchinari e grandi dottori, gliela curarono col chinino senza soverchi problemi.
Fausto tornò il 18 dicembre dall'Alto Volta, dove aveva corso un criterium per festeggiare il primo anniversario dell'indipendenza di quel paese africano. Assieme a lui tanti altri campioni come Anquetil, Riviere, Anglade, Geminiani. Fu proprio Raphael, verace romagnolo trapiantato in Francia, che di Coppi era amicissimo, a dormire con lui nel misero albergo dove alloggiarono nei giorni di permanenza in quello stato.
"Fummo presi d'assalto dai Moustiques - dirà Geminiani - i letti non avevano le zanzariere. Fummo martoriati. Appena dopo Natale ci telefonammo. Fausto voleva gli combinassi una squadra di corridori francesi per la sua bici, la bici Coppi. Gli dissi che stavo male, che avevo una strana febbre. Mi rispose che anche lui si sentiva addosso l'influenza e che si sarebbe messo a letto".
La sera del 27 dicembre Fausto Coppi, esausto e giallo come un limone, si infilò sotto le coperte: aveva 40 di febbre. Chiamarono Ettore Allegri, il suo medico. Diagnosi: influenza asiatica. Antibiotici. In Francia Raphael Geminiani andò in coma. Il suo sangue fu portato all'Istituto Pasteur. Responso: malaria perniciosa plasmodium falciparum. Lo bombardarono col chinino e lo salvarono. La moglie di Raphael allora telefonò a Villa Carla (casa Coppi) e disse che il marito aveva la malaria e che anche Fausto, nel frattempo fortemente peggiorato, era sicuramente malato della stessa. Un medico le disse che non si impicciasse e che Coppi l'avrebbero curato loro.
Ed infatti al capezzale del Campionissimo arrivarono diversi dottori che formularono un'altra diagnosi: broncopolmonite emorragica da virus. Agli antibiotici venne aggiunto il cortisone che per la malaria era come concime. Il fratello di Geminiani telefonò per sincerarsi delle condizioni di Fausto e ribadì di andare dritti sul chinino. Niente da fare, i medici non ne volevano sapere. Comunque il 31 dicembre, anche il chinino, sul suo fisico bombardato di antibiotici e cortisone, non avrebbe potuto evitargli la morte. Il primo gennaio i medici si decisero a ricoverarlo in ospedale. Arrivarono i barellieri e Fausto, raccogliendo le ultime forze, quasi a presagire la morte imminente, volle per la prima volta che il figlio Faustino lo vedesse in quello stato. Lo chiamò vicino alla barella e gli disse: "Fai il bravo, Papo!". Fausto Coppi fu ricoverato a Tortona dove nel frattempo erano arrivati gli esiti degli esami: era malaria. Troppo tardi per evitare che l'Airone chiudesse per sempre le ali. Il due gennaio 1960, alle 8,45, il suo volo solitario, in mezzo alle nebbie e alla polvere, sullo sfondo della sua leggenda, iniziò una nuova dimensione nei cuori e nelle menti.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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