Pinotin, che spiccó il volo dalla Serra - Giuseppe Santhiá (classe 1886)

Giuseppe Santhiá (classe 1886) interpretó alla grande la parte del 'corridore sognatore'

GIOVANNI TARELLO
12 MAGGIO 2011

A Cavagliá, a un passo dal Canavese, ultima frangia biellese o estrema periferia vercellese, fate voi, nacque, il 19 gennaio 1886, Giuseppe 'Pinotin' Santhiá. La bicicletta era la sua ragione di vita che fece inizialmente imbestialire i suoi familiari. Sospeso tra un paio di categorie per nulla edificanti (i fannulloni e i pazzi sognatori), si allenava, solcava le carreggiate del nostro lembo di Piemonte, valicando sovente la Serra. Un giorno di tarda primavera stava percorrendo la carreggiata da Ivrea a Viverone, zona di Bollengo. Nubi, folgori e vento ingrigivano il primo pomeriggio. Una folata e 'Pinotin' ruzzoló a terra. Si rialzó con una spalla lussata. Ripartì con le lacrime agli occhi, percorse ancora cento chilometri, con un braccio inservibile e la pelle a brandelli. Superata anche l'ennesima prova, confermó a se stesso che era meglio soffrire in sella, piuttosto che allevare bestiame o tirare l'aratro. Inizió a sconfinare, uscendo dai limiti tradizionali, scroccando qualche biglietto ferroviario, in quel tempo era ancora funzionante la linea Ivrea-Santhiá con stazione situata a Cavagliá, per raggiungere Torino o Milano, per confrontarsi con i campioni di quelle zone. S'iscrisse alla prima Milano Sanremo nel 1907. Prese il via anche nel 1909 e concluse 35º. Santhiá pedalava sfrontato, che ci fosse il sole o la pioggia. Che si partisse alle dieci del mattino o alle due di notte. Vinceva giornate insonni e pasti insufficienti. I sogni di Santhiá, lentamente, si stavano materializzando e i risultati giunsero copiosi, uno su tutti la splendida vittoria del 1909 nella corsa di casa: il Gran Premio Cittá di Biella, inasprito dalle pendici della Serra d'Ivrea. Attaccó proprio sulle asperitá moreniche e chiuse il conto quando al traguardo mancavano novanta chilometri. Avversari umiliati, il primo dei battuti, Emilio Petiva (diciannovenne torinese che l'anno seguente, 1910, si laureó Campione d'Italia assoluto) arrivó dopo oltre un quarto d'ora. L'Italia intanto s'evolveva. La Gazzetta dello Sport scalava i vertici delle vendite, la guerra era ancora lontana, ma le guerriglie furono il pane quotidiano. Santhiá, l'esilino in mutande e flanella, si tramutó in un atleta di secondissimo piano, appena dopo i grandi pedalatori osannati da quotidiani e periodici. Il 1910-1914, fu il suo lustro. Il quinquennio della definitiva consacrazione e dei successi prestigiosi (Giro della Provincia di Novara 1910) e piazzamenti di spessore: quarto ai Campionati Italiani Professionisti in prova unica sul percorso da Alessandria a Borgo San Donnino di Fidenza (16 ottobre 1910), con primo Emilio Petiva, piazzato Luigi Ganna, terzo Eberardo Pavesi e quinto Giovanni Micheletto. Nel 1911 chiuse al quarto posto il Giro d'Italia, correndo per la Fiat. Secondo a Genova, trionfó nella tappa Torino-Milano, il 25 maggio: Santhiá, esaltato da strade conosciute, e Petit Breton fecero il diavolo a quattro: vincente Pinotin e terzo Lucien. Fu un'edizione tiratissima, ancora a punteggio: Petit Breton passó al comando al termine della Ancona-Sulmona, poi fu costretto all'abbandono e il nostro da gregario divenne capitano sul campo. Mancavano gli spiccioli al termine e si dovette accontentare della quarta moneta (1º Galetti 50 punti, 2º Rossignoli 58, 3º Gerbi 84 e 4º Pinotin, 86). Nel 1912 Santhiá passó alla Bianchi, un po' la Pro Vercelli del ciclismo, quella Pro che dal 1908 al 1913 si era aggiudicata cinque scudetti su sei, e concluse secondo la classica XX Settembre, il Giro dell'Emilia e due tappe del Giro (unica edizione a squadre), la prima e la successiva a Padova e Bologna, poi l'abbandono. Il 1913 si annunció come la stagione della consacrazione. Campeggió sul cartellone del Giro d'Italia, volto pulito, tra facce imbaffonate. Sfrecció primo, in volata, nella tappa d'esordio da Milano a Genova di 341 chilometri, su Albini e Pratesi. Cedette le insegne del primato al termine della seconda razione di fatica (una tappa ogni due giorni) a Pierino Albini, lombardo di Arconate. Ma 'Pinotin' non si perse d'animo, anzi, pigió sull'acceleratore e rivinse per distacco la Siena-Roma, e tornó leader, con Azzini lontano 3'40". Fu poi terzo a Salerno e quella sera si scatenó: cena pantagruelica e bevuta senza freno. Dormì per ventiquattrore. Percorse con le gambe imbastite la Salerno-Bari, poi l'abbandono. Santhiá tornó a casa crucciato tra sostenitori indignati per la gestione scriteriata delle sue enormi potenzialitá. Riprese nel 1914 mutando colore, Ganna prima e Clement poi, i gruppi sportivi che rappresentó, ma soprattutto con un chiodo fisso: il Giro d'Italia da non gettare alle ortiche. Prima peró si levó la grande soddisfazione di spopolare nel Giro del Piemonte, il suo successo più bello. Poi venne il Giro, prima tappa domenica 24 maggio, 420 chilometri da Milano a Cuneo, partenza a mezzanotte, con Serra e soprattutto il Sestriere da scavalcare. Pioveva. Strade infide. Cadute. Ecatombe di gomme. Guasti meccanici... Giá sulla Serra, ancora avvolta dal buio, Santhiá era con i primissimi. Il Sestriere, ventoso e allagato, decise il Giro: Gremo attaccó. Santhiá resse, transitó in vetta in quinta posizione con un quarto d'ora di ritardo. Attaccó alla grande la picchiata verso Pinerolo, ma cadde rovinosamente in un tratto rettilineo. Distrusse la bicicletta e dovette abbandonare. Poi, il 28 luglio 1914 scoppió la Grande Guerra. La carriera di Santhiá subiva l'arresto sul più bello, a 28 anni. Riprese nel 1919: quinto al Giro del Piemonte e alla Gran Fondo Milano-Roma. Tornó all'antico, vestendo la casacca della francese Peugeot che giá aveva indossato, seppur sporadicamente, nel 1910. Tante gare senza infamia e senza lode datate 1920 (gruppo sportivo Stucchi). Un colpo di coda nel 1921: secondo al Giro di Campania. Corse e concluse, quindicesimo, il Giro d'Italia. Nel 1922 tornó in Francia e gareggió il Tour. Aveva 36 anni (come dire 50 oggi) e concluse diciassettesimo. Terminó la carriera nel 1923: ritirato al Giro e alla Grande Boucle. Il tempo era scaduto. 'Pinotin' aprì bottega, da ciclista naturalmente, a Cavagliá. Sognó ancora a lungo la carriera passata. Fu poi investito dal suo spirito vagabondo. Cercó il mare e attraversó l'oceano. Emigró in Argentina e morì a Buenos Aires pochi anni dopo.

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