Michele Dancelli: Una storia esemplare

La fama di Michele Dancelli è legata in modo particolare alla strepitosa fuga di oltre 200 chilometri, gli ultimi 80 solitari, che lo portò in trionfo a San Remo nel 1970, dopo 17 anni di incontrastato dominio straniero della nostra classica di Primavera.
Dancelli, pur non essendo il classico sprinter da volate tra decine di corridori che sgomitano, e neppure il finisseur che attende l'attimo propizio per squagliarsela in prossimità del traguardo, vinse molto: Campione italiano dilettanti nel 1962, Campione italiano professionisti nel 1965 e nel 1966, Freccia Vallone nel 1966 e 11 tappe del Giro d'Italia, dal 1964 al 1970. Il campionato mondiale lo vide per due anni consecutivi (1968 e 1969) sul podio, al terzo posto.
Successi spesso conquistati con fughe spericolate. Un passista veloce che figurava bene anche da cronomen, da grimpeur e nelle corse a tappe.
Nelle corse a tappe vinse la Parigi-Lussemburgo del 1968 e terminò il Giro d'Italia del 1970 2^ in classifica a Punti, 4^ in classifica Generale e 5^ nella classifica Scalatori.
A cronometro vinse la Cronostaffetta nel 1966 e nel 1969 e conquistò il secondo posto al Trofeo Baracchi del 1965.
Gli exploit in salita gli permisero di aggiudicarsi per tre anni consecutivi il Giro dell'Appennino (1965, 1966 e 1967), la tappa dolomitica del Giro d'Italia del 1966, la cronoscalata del Ghisallo nel 1969, ed il secondo posto, dietro Mercks, nel tappone pirenaico del Tour de France del 1969.
Dancelli, è nato a Castenedolo nel 1943, in un'epoca in cui si correva anche per bisogno e non solo per rabbia o per amore come canta Francesco De Gregori. Mirabili i suoi racconti d'infanzia: ultimo di otto figli, orfano di padre, manovale edile a 12 anni, la prima bicicletta comperata con i sacrifici della mamma e poi "truccata" da lui stesso per correre, le prime gare, il successo, i primi premi con cui acquistò la casa ai suoi familiari, ecc.
Una storia condivisa da tanti suoi compagni di avventura: Gianni Motta, per fare l'operaio nell'omonima fabbrica di panettoni, correva ogni giorno da Cassano d'Adda a Milano; Franco Balmamion in bicicletta andava a lavorare in Fiat, Vito Favero, muratore, macinava sessanta chilometri al giorno tra i cantieri del trevigiano, e altri.
Ragazzini che negli anni '50 del secolo scorso, faticando in bicicletta per guadagnarsi il pane, si scoprirono campioni. Protagonisti orgogliosi, saggi e modesti di storie esemplari.
Articolo inviato da: Angelo Gerosa
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