Gianni Motta, atleta incompiuto uomo felice

Rivista Tuttobici Numero: 5 Anno: 2000

Gianni Motta, atleta incompiuto uomo felice

di Gino Sala

Gianni Motta l'incompiuto, dovrei dire. Quel ragazzo di Cassano d'Adda coi riccioli biondi, dotato da madre natura di un fisico da gazzella, bello da vedersi in tutti i suoi aspetti, nato povero, operaio in uno stabilimento di panettoni, ciabattino, mestieri vari prima di diventare un professionista del pedale, ha lasciato dietro di sè tanti rimpianti.

Sì, campione è stato, nei dieci anni di attività che vanno dal 1964 al 1974 e che presentano una pagella coi trionfi di un Giro d'Italia, di un Giro della Svizzera, di un Lombardia, di quattro Tre Valli Varesine, di tre Giri dell'Emilia ai quali bisogna aggiungere altre affermazioni di rilievo tenendo conto che ai quei tempi si affrontavano le corse a ranghi completi, mentre oggi in più occasioni è un disperdersi di forze. A proposito della Tre Valli ricordo l'edizione in cui Gianni ebbe modo di imporsi a spese di Merckx e questo è un esempio di come andavano le cose quando il ciclismo era più ordinato, più intelligente, più veritiero.

Perché Motta l'incompiuto? Perché da un atleta del suo stampo, così completo, tale da potersi esprimere brillantemente su ogni tipo di percorso, ci si aspettava una carriera molto più ricca di successi. E se non è stato pari ai coetanei più illustri devo dedurre che il brianzolo non era in possesso di un grande carattere. Deduco semplicemente perché è difficile entrare nell'intimo di un corridore. E tuttavia l'impressione rimane questa e cioè quella di un Motta piuttosto remissivo, facile a demoralizzarsi appena qualcosa non andava per il giusto verso, sordo ai consigli, aperto soltanto con le persone sbagliate e in proposito molti ricorderanno come Gianni si era sottomesso alle esigenze di un preparatore che lo sottoponeva ad allenamenti folli.

Sarebbe però ingiusto insistere sui difetti di un ciclista che ha avuto un largo seguito di tifosi, che ha sollevato passioni in momenti di forti rivalità. Motta può specchiarsi nel Giro d'Italia 1966 che ha vinto con 3'57" su Zilioli, 4'40" su Anquetil, 5'44" su Jimenez e 6'47" su Gimondi. Per Motta si riempivano le tribune del vecchio "Palasport" milanese quando erano di scena i seigiornisti, per Motta si sono spesi titoli e titoloni di giornali perché personaggio di un certo spessore. Adesso, quando mi capita di incontrarlo, non si direbbe che abbia qualcosa da rimproverarsi. È un uomo felice, con una bella famiglia e questo conta. Un uomo dall'aspetto giovanile. Potrebbe dire di avere quarant'anni, massimo quarantacinque e invece non è lontano dall'essere sessantenne. Per di più è in pace con se stesso, è disponibile, sorridente, loquace a differenza di quando era in sella, quando si faticava per ottenere un'intervista.

Tutto considerato penso che Gianni non voglia rimproverarsi nulla, proprio nulla, che sia soddisfatto di quanto ha ottenuto e alla fine del discorso quasi mi viene di chiedergli scusa per averlo messo in discussione. Sicuro che sono stato tra i suoi ammiratori in un'epoca dove i campioni non erano pochi. Epoca in cui vedere Motta in prima linea, leggero in salita, svelto in pianura e guizzante in volata era un esaltante contributo allo spettacolo.