Giorgio Albani: «Ciclismo, che nostalgia»

Rivista Tuttobici Numero: 3 Anno: 2007

Giorgio Albani: «Ciclismo, che nostalgia»

di Gino Sala

Eccomi al cospetto di Giorgio Albani, personaggio che entra sovente nei miei discorsetti perché uomo dotato di belle idee, per meglio dire di un'ammirevole sapienza ciclistica. Nato a Monza il 15 giugno del 1929, prima corridore e poi tecnico di prim'ordine. Corridore che in dieci anni di attività professionistica ha conquistato 33 vittorie tra le quali figurano un campionato italiano, sette tappe del Giro d'Italia, due Giri dell'Appennino, la Coppa Bernocchi, la Milano-Modena, il Giro del Piemonte e il Giro del Veneto. Il Giorgio Albani che diventerà uno dei direttori sportivi più apprezzati, di quelli che fanno scuola, per intenderci, colui che alla guida della Molteni è stato un prezioso insegnante per Motta, Dancelli, Merckx e tanti altri.

Molti successi, 4 Giri d'Italia, 3 Tour de France, 3 Mondiali, un vero maestro che sapeva ricavare il meglio dai suoi atleti, capace di catechizzare il "cannibale", quel Merckx che veniva rimproverato per la sua ingordigia e invitato a moderarsi. Più volte ho sentito Albani che invitava il grandissimo Eddy alla moderazione. «Calmati, non c'è bisogno che tu vinca sempre», era il consiglio. Purtroppo per Merckx qualsiasi traguardo, anche quello costituito da una "kermesse", era un invito e i rimbrotti non avevano effetto come dimostrano i 426 trionfi che lo pongono nettamente in testa ai plurivincitori di tutti i tempi. Seguono Van Looy con 379 conquiste, Van Steenbergen (270), Moser (261) e De Vlaeminck (255).
Altri tempi, altri campioni, altro ciclismo, altri insegnanti. E l'Albani che per la sua esperienza ha un ruolo importante nell'organizzazione del Giro d'Italia, è in piena sintonia col vecchio cronista. Sentite.

«Il ciclismo di oggi vive momenti che fanno rimpiangere il passato. C'è qualcosa, anzi molto che non quadra. Si è arricchito nella facciata e impoverito nella sostanza. Al di là di certi costi non si può andare. Le manìe di grandezza danneggiano. Meglio quando lo sport della bicicletta aveva un aspetto artigianale. Poveri, per così dire, eravamo e tali si doveva rimanere. Mi spiace dover rimarcare questi difetti. Abbiamo un Pro Tour gigantesco che penalizza parecchie squadre, abbiamo un doping che è figlio della necessità di conquistare risultati. La parola d'ordine dovrebbe essere quella di procedere come gamba permette. Per di più nelle società minori è finito il volontariato. Come Presidente del Pedale Monzese devo rimarcare che non abbiamo tesserati per mancanza di quattrini e così dobbiamo accontentarci di organizzare qualche gara. Mi spiace dover rimarcare una situazione allarmante, capisco che voltar pagina è difficile, assai problematico, ma il ciclismo che mi piace non è quello che stiamo vivendo».

Già, è cambiato il mondo, è cambiato tutto, però non è detto che si debba procedere con una sequenza di errori, anzi al punto in cui siamo giunti si rendono necessarie, indispensabili, profonde correzioni. Grazie Giorgio per le tue osservazioni. Insieme possiamo considerarci due inguaribili passatisti. A ragion veduta, s'intende.