Massimo Ghirotti: dov'è la nostra umanità?
Rivista Tuttobici Numero: 11 Anno: 2007
Massimo Ghirotti: dov'è la nostra umanità?
di Gino Sala
È proprio il caso di dire che la vita ciclistica di Massimo Ghirotto è piena di ricordi esaltanti. Nato a Boara Pisani (Padova) il 25 giugno 1961, professionista dall'83 al '95, altezza 1 e 89, peso 76 chili, un passista che ha onorato la lunga carriera disputando dodici Giri d'Italia, 7 Tour de France e una Vuelta di Spagna. Un gregario al servizio di Roche, Visentini, Bontempi e Chiappucci, e cha ha conquistato ventitré traguardi tra i quali figurano due tappe del Tour altrettante del Giro, un Trofeo Baracchi in coppia con Leali, un Trofeo Matteotti, due Giro del Veneto e la Wincanton Classic, prova valida per la Coppa del Mondo, nella quale ha battuto Jalabert.
«Ero nel gruppetto in fuga e quando siamo rimasti in due ho pensato che mi sarei dovuto accontentare del secondo posto - ricorda Massimo -. Il campione francese era certamente il più veloce, ma quando mancavano sette chilometri alla conclusione ho notato che stava mangiando. Una crisi di fame, mi sono detto accompagnando il pensiero con un allungo decisivo. Una giornata indimenticabile...».
Sono stato compagno d'avventura di Ghirotto e ho buoni motivi per includerlo tra i pedalatori che più ho ammirato. Un gigante e non soltanto per il suo fisico imponente. Un atleta in possesso di una serietà esemplare, sempre disponibile per la squadra, prontissimo ad ogni richiamo, capace di imporsi nei momenti di libertà, generoso e altruista, tale da essere citato come modello del gruppo di ieri e soprattutto di quello di oggi. Il Ghirotto che nel Mondiale di Agrigento (stagione '94) era in compagnia del fuggitivo Leblanc quando mancavano cinquecento metri alla conclusione.
«Ho risposto al primo e secondo scatto, ho mollato al terzo» rammenta Massimo riportandomi a quella domenica indimenticabile anche per il vecchio cronista. Già, la maglia iridata sulle spalle di Ghirotto sarebbe stata un giusto riconoscimento ad un corridore del suo stampo. Qualcuno penserà che mi lasci prendere dai sentimenti, quelli buoni, per intenderci, ed è così se pensiamo ad alcuni vincitori dei campionati mondiali baciati dalla fortuna e non comparabili coi valori di Massimo che concludendo una lunga e bella chiacchierata mi confida: «Il ciclismo mi ha dato molto. Sono sposato e padre di due figlie, lavoro con Gimondi nel settore del mountain bike e sono impegnato nel campo immobiliare. Se proprio devo confrontare il passato col presente, dirò che ai miei tempi c'era più umanità, più fratellanza. Adesso si avverte fortissimo il bisogno di pulizia, di sincerità, di credere che si può vincere senza far ricorso al doping...». Parole sante, caro Massimo. Basta per sempre con i veleni e i loro propinatori. Diversamente il nostro amato sport della bicicletta precipiterà in un burrone.
Massimo Ghirotti: dov'è la nostra umanità?
di Gino Sala
È proprio il caso di dire che la vita ciclistica di Massimo Ghirotto è piena di ricordi esaltanti. Nato a Boara Pisani (Padova) il 25 giugno 1961, professionista dall'83 al '95, altezza 1 e 89, peso 76 chili, un passista che ha onorato la lunga carriera disputando dodici Giri d'Italia, 7 Tour de France e una Vuelta di Spagna. Un gregario al servizio di Roche, Visentini, Bontempi e Chiappucci, e cha ha conquistato ventitré traguardi tra i quali figurano due tappe del Tour altrettante del Giro, un Trofeo Baracchi in coppia con Leali, un Trofeo Matteotti, due Giro del Veneto e la Wincanton Classic, prova valida per la Coppa del Mondo, nella quale ha battuto Jalabert.
«Ero nel gruppetto in fuga e quando siamo rimasti in due ho pensato che mi sarei dovuto accontentare del secondo posto - ricorda Massimo -. Il campione francese era certamente il più veloce, ma quando mancavano sette chilometri alla conclusione ho notato che stava mangiando. Una crisi di fame, mi sono detto accompagnando il pensiero con un allungo decisivo. Una giornata indimenticabile...».
Sono stato compagno d'avventura di Ghirotto e ho buoni motivi per includerlo tra i pedalatori che più ho ammirato. Un gigante e non soltanto per il suo fisico imponente. Un atleta in possesso di una serietà esemplare, sempre disponibile per la squadra, prontissimo ad ogni richiamo, capace di imporsi nei momenti di libertà, generoso e altruista, tale da essere citato come modello del gruppo di ieri e soprattutto di quello di oggi. Il Ghirotto che nel Mondiale di Agrigento (stagione '94) era in compagnia del fuggitivo Leblanc quando mancavano cinquecento metri alla conclusione.
«Ho risposto al primo e secondo scatto, ho mollato al terzo» rammenta Massimo riportandomi a quella domenica indimenticabile anche per il vecchio cronista. Già, la maglia iridata sulle spalle di Ghirotto sarebbe stata un giusto riconoscimento ad un corridore del suo stampo. Qualcuno penserà che mi lasci prendere dai sentimenti, quelli buoni, per intenderci, ed è così se pensiamo ad alcuni vincitori dei campionati mondiali baciati dalla fortuna e non comparabili coi valori di Massimo che concludendo una lunga e bella chiacchierata mi confida: «Il ciclismo mi ha dato molto. Sono sposato e padre di due figlie, lavoro con Gimondi nel settore del mountain bike e sono impegnato nel campo immobiliare. Se proprio devo confrontare il passato col presente, dirò che ai miei tempi c'era più umanità, più fratellanza. Adesso si avverte fortissimo il bisogno di pulizia, di sincerità, di credere che si può vincere senza far ricorso al doping...». Parole sante, caro Massimo. Basta per sempre con i veleni e i loro propinatori. Diversamente il nostro amato sport della bicicletta precipiterà in un burrone.