Andrea Tafi, il Gladiatore

Andrea se ha cominciato con il ciclismo lo deve a un compagno di scuola delle elementari, che un giorno gli propone di andare con lui a correre in bici. L'idea gli piace, ma devono essere i suoi genitori a dargli l'autorizzazione. Non è facile convincerli: un giorno arriva un signore, Rino Fabris, che parla con sua madre, che non è per niente contenta dell'idea, ma dice che comunque riferirà al padre. Allora Andrea, che ha sentito la discussione di nascosto, precede sua madre e convince il padre a dargli il permesso. Non se ne pentirà mai, neanche agli inizi, perché insieme passano domeniche spensierate all'aria aperta. A quel tempo il ciclismo è per Andrea puro divertimento, i risultati non contano.
Nelle categorie giovanili è bravino, ma non è che vince molto, anzi. Comunque l'importante è che il ciclismo lo prende sempre di più, finché arriva il momento della decisione: andare avanti seriamente o mollare e dedicarsi allo studio. Andrea riesce a prendere il diploma di segretario d'azienda ma ha ormai deciso: il ciclismo sarà il suo futuro.
Da dilettante Andrea si guadagna spazio correndo già a modo suo e vince anche una tappa al Giro Baby e il GP Cuoio e Pelli. Lo nota Gianni Savio che lo prende per la Selle Italia. Il passaggio al professionismo, nel 1989, è un sogno, il coronamento di anni di sacrifici fra i dilettanti, ma c'è ancora tanto da fare. Arriva qualche vittoria, poi nel '91 il trionfo al Giro del Lazio, che gli apre le porte del ciclismo importante: passa infatti alla Carrera di Chiappucci e Roche. Ci resta due anni senza vincere mai, ma è un biennio importante per la sua crescita. Poi passa alla Mapei, dove resta per nove stagioni, e finalmente arrivano tante e importanti vittorie.
La sua carriera è ricca di successi ma è contraddistinta soprattutto dalle cinque vittorie in Coppa del Mondo. La prima è il Giro di Lombardia del 1996 quando, dopo un amaro sesto posto al Mondiale di Lugano, scarica la rabbia sulle strade lombarde e vince dominando.
L'anno dopo arriva la vittoria in Gran Bretagna, alla Rochester Classic. E' un successo insperato, la corsa è nuova per tutti ma Andrea è in un ottimo periodo di forma e vince alla sua maniera.
Nel 1999 arriva finalmente il trionfo alla Roubaix, la corsa che è sempre stata il suo sogno: nei due anni precedenti è finito secondo e terzo, la sente vicina ma gli sfugge, poi improvvisamente quel sogno si trasforma in realtà.
Nel 2000 la vittoria nella Parigi-Tours è una autentica sorpresa; Andrea ha tanta rabbia in corpo per non essere stato convocato per i Mondiali e attacca a testa bassa spiazzando tutti i velocisti.
L'ultima vittoria in Coppa del Mondo è forse la più bella e prestigiosa insieme alla Roubaix: il Giro delle Fiandre del 2002.
A fine 2002 la Mapei abbandona il ciclismo ma Andrea, nonostante 36 anni compiuti, ha ancora voglia di mettersi in discussione e firma per i danesi del Team CSC. E' una stagione dura, l'ambiente e le idee sono molto diverse da quelle delle squadre italiane; Andrea soffre molto e a fine anno torna a correre in Italia con l'Alessio, dopo aver comunque ottenuto un ottimo 5° posto nella sua corsa: la Roubaix.
A fine 2004 cambia ancora squadra e passa agli spagnoli della Saunier Duval, dove trova un ambiente ideale e lavora alacremente sapendo che la Roubaix avrebbe chiuso la sua carriera. Una parentesi breve quella del 2005, ma che Andrea ha voluto rendere più intensa possibile. E' molto motivato, ha trovato la squadra ideale, che gli ha dato una carica incredibile, dal direttore sportivo a tutto l'organico. Si è avvicinato al momento dell'addio con un pò di malinconia, anche perché abbandonare quel mondo, che ha contraddistinto tutta la sua vita, lo ha fatto un pò pensare ma bisogna prepararsi. Corre una Roubaix che sarebbe stata anonima per chiunque ma non per lui; conclude 42° ma all'arrivo è festeggiato come se avesse vinto e lui saluta commosso tutti.
Cinque vittorie in Coppa del Mondo, un titolo italiano, tanti altri successi e un nome che si è via via affermato nel tempo come quello di un corridore particolarmente dotato per le classiche. Eppure non aveva iniziato con queste credenziali e ai tempi della Carrera si parlava di lui come di un giovane promettente ma forse non destinato a simili successi.
Ma Andrea ha fatto suo un credo: se non si osa, si vivrà in compagnia del rimpianto; tante volte le cose gli sono andate male, ma almeno ci ha provato. E Andrea può dire di chiudere la carriera con il normale dispiacere, certo, ma almeno senza alcun rimpianto. Non è un caso se lo hanno soprannominato Gladiatore per sottolineare la sua combattività. Ha sempre dato il massimo, anche quando la condizione non era eccellente, perché sicuramente questo è il modo migliore per onorare uno sport, un lavoro che più bello non potrebbe essere. Ma ha sempre avuto la volontà di migliorare, di mettercela tutta fino all'ultimo briciolo di forza.
Article posté par: Paolo Mannini (Firenze)