Storia di Fiorenzo Magni

E' stato un grande protagonista del ciclismo italiano, un atleta capace di grandi imprese sportive, un corridore in grado di imporsi in corse di grande importanza, e questo proprio mentre l'Italia intera si schierava e tifava per Coppi o per Bartali; lui correva e vinceva quasi quanto loro, per questo l'appellativo con il quale è rimasto famoso, "il terzo uomo".
La vita di Fiorenzo, che in bicicletta scalatore vero non è mai stato, cominciò abbastanza presto ad essere in salita.
Interruppe gli studi, giovanissimo, per aiutare il padre, titolare di una piccola impresa di trasporti a Vaiano, paese in cui è nato nel 1920.
Così, girando per lavoro in bicicletta si appassionò al ciclismo e nel 1936 cominciò a correre nella categoria aspiranti, per la più forte squadra dei dintorni e cioè l'Associazione Ciclistica Pratese.
L'inizio non fu facile ne fortunato, ma nel 1937 passato alla categoria allievi, ottenne 12 successi e il titolo regionale toscano della categoria. Sempre nel 1937, appena diciassettenne, si ritrovò orfano e capofamiglia a causa della prematura scomparsa del padre, deceduto in un incidente stradale. Nonostante le difficoltà non rinunciò alla bicicletta, allenandosi nel poco tempo libero che gli rimaneva e facendo ricorso a quelle doti di costanza e ferrea volontà che mai gli mancheranno nella sua carriera sportiva.
Nel 1938 passò dilettante, tesserandosi con Alfredo Martini per l'A.C. Montecatini Terme. Vinse diverse corse e l'anno seguente si confermò ad alti livelli al punto che venne selezionato per i campionati del mondo di categoria su strada in programma a Varese. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale portò alla cancellazione del campionato del mondo ormai imminente.
Continuò a vincere ancora da dilettante come ad esempio nel 1940 il Giro della Provincia di Milano a cronometro in coppia con Ortelli. Questa vittoria gli spalancò la carriera da professionista, passò nella Bianchi, che lo stava seguendo da tempo, nella quale rimase per tre anni conseguendo alcune vittorie ed altre importanti prestazioni in quei difficili anni di guerra.
Nella seconda metà del 1943, dopo l'8 settembre, data dell'armistizio fra il generale Badoglio e gli alleati, aderì alla Repubblica fascista di Salò. I fatti che si legarono a quella sua indubbia scelta di campo lo portarono poi, nel corso del luglio 1944 a trasferirsi dalla natia Vaiano a Monza, dove conoscerà Liliana, la sua futura moglie.
Il 1946 lo passò senza correre, perché venne squalificato dall'U.V.I.; in proposito le versioni apparse su varie pubblicazioni sono contrastanti. Una fa risalire il motivo della squalifica alle simpatie fasciste, l'altra parla di corse cui avrebbe partecipato sotto falso nome.
Terminata la squalifica, nel 1947 tornò lentamente alla professione correndo per la Viscontea e ottenendo diversi piazzamenti di rilievo (7° alla Milano-Sanremo, 2° al Giro del Veneto e 9° nel suo primo Giro d'Italia). La costanza nel rendimento venne premiata con la prima maglia azzurra per la prova in linea dei campionati del mondo su strada in Francia a Reims. Fu grande protagonista con la fuga decisiva a quattro: lo stesso Magni, il belga Sercu, l'olandese Jansen e il connazionale Middelkamp. Alla fine fu solo quarto ma, nonostante la delusione, aveva corso il suo primo mondiale da protagonista.
Nel 1948 affrontò per la prima volta le cosiddette classiche del nord, facendo un'importante esperienza all'estero: finì al quinto posto nella Parigi-Roubaix e si ritirò nel Giro delle Fiandre.
Alla sua seconda partecipazione vinse il suo primo Giro d'Italia fra i fischi e le polemiche. Fu un giro strano, con Bartali attardato da una caduta, Magni era in maglia rosa con un largo vantaggio grazie ad una fuga che aveva lasciato di stucco i favoriti della vigilia. Poi sul Pordoi, durante la tappa Cortina d'Ampezzo-Trento, Magni fu visto ricevere parecchie spinte e parecchie squadre fecero reclamo. La Giuria lo penalizzò di due minuti in classifica, ma Coppi, che aveva vinto quella tappa, in seguito a questa decisione, ritenendola troppo leggera si ritirò con tutta la sua squadra, la Bianchi.
Le ultime due tappe furono un calvario, lungo la strada Magni venne sommerso di fischi, e nonostante tutto riuscì a vincere l'ultima tappa che terminava a Milano.
Nel 1949 forte di una grande condizione, aveva passato l'inverno ad allenarsi su pista in Svizzera, il 10 aprile si presentò alla partenza del Giro delle Fiandre, da solo, con l'unica compagnia di un meccanico e di un giornalista della Gazzetta dello Sport. Aveva pensato tutto l'inverno a quella corsa e aveva preparato anche i materiali: ruote in legno, molto robuste ed elastiche, tubolari speciali ben stagionati e gommapiuma tutto intorno al manubrio. Vinse la prima delle tre edizioni consecutive (1949-1950-1951) del Giro delle Fiandre diventando definitivamente dopo la terza vittoria per tutti "il leone delle Fiandre".
Fu un corridore estremamente intelligente, dal punto di vista tattico-diplomatico. Era cioè capace di capire al volo le varie situazioni. La rivalità Coppi-Bartali, in un certo senso, è stata in molte occasioni la sua fortuna.
Il corridore di Vaiano, infatti, era capace di restare il più possibile fuori dalla mischia, ben defilato, pronto ad approfittare di ogni opportunità che gli si presentasse. Se non era in giornata, a Coppi bastava che non vincesse Bartali e viceversa. Magni non doveva fare ombra ai due grandi, ma doveva restare al suo posto, per approfittare quando fosse stato possibile. Anche la apparente arrendevolezza di Magni nell'accettare disciplinatamente la dolorosa decisione di abbandonare il Tour de France del 1950 in maglia gialla rientrava in questa strategia. Contrariare Gino Bartali significava farselo nemico in corsa, ed averlo per nemico avrebbe senza dubbio significato, in futuro, non avere gli opportuni lasciapassare per puntare ad altre vittorie.
Anche nei confronti di tutti gli altri colleghi era un vero fuoriclasse, aveva sempre un buon dialogo ceon tutti, cercava di essere amico di tutti e nel gioco delle alleanze di gruppo e nelle strategie da attuare non lasciava mai niente di incompiuto.
Così era per la tattica di gara, studiava sempre tutto prima, dava disposizioni, impartiva ordini, assegnava ruoli e compiti. Aveva però un lato oscuro, uno dei meno conosciuti, ma ampiamente dimostrato. Nei primi chilometri di gara, era solito farsi trainare dai suoi gregari, attaccandosi ai loro pantaloncini per non pedalare e non sciupare le preziose energie da utilizzare nei finali di gara. Queste pratiche, in quegli anni, non erano vietate dai regolamenti e quindi non faceva niente di irregolare, ma nessun altro dei grandi campioni della sua epoca si comportava così. I contratti che proponeva ai suoi gregari prevedevano espressamente anche questi compiti, per questo li pagava, li dirigeva, ma non ne era mai veramente amico essendo un vero e proprio dittatore della formazione di cui era capitano.
Nel frattempo era cominciato, per il ciclismo italiano, un periodo difficile con la crisi delle industrie della bicicletta, non più unico mezzo di trasporto per la maggior parte della popolazione. Le vendite erano diminuite sensibilmente e la pubblicità che era garantita alle varie ditte costruttrici dalle gare ciclistiche non bastava più.
Magni si inventò, per il mondo del ciclismo, quella che oggi si chiama "sponsorizzazione", abbinando la sua squadra ad un'azienda che niente aveva a che fare con la bicicletta: la pubblicità pura e semplice, non legata al mezzo meccanico, fece la sua comparsa nel 1954 con la nuova formazione allestita da Magni, la Nivea-Fuchs.
Gli ultimi tre anni della sua carriera furono tutti corsi con le insegne della Nivea. Nel 1955 fece tris per la terza volta: dopo il Giro delle Fiandre e il Campionato Italiano, la terza vittoria in una stessa manifestazione arrivò per lui nel Giro d'Italia. Il 1956 fu l'ultimo anno di carriera, nel quale vinse cinque volte e terminò al secondo posto il Giro d'Italia dietro il lussemburghese Charly Gaul. Al Giro d'Italia era caduto nella dodicesima tappa la Grosseto-Livorno, incrinandosi una clavicola. Proseguì il Giro, correndo con una fascia legata la manubrio e stretta fra i denti, per sopportare in qualche modo il dolore e riuscire a guidare ugualmente la bicicletta. Riuscì non solo a portare a termine il Giro ma, a causa del ritiro di tutti i migliori in classifica nella tappa del Bondone disputata in mezzo alla neve, ad arrivare al 2° posto anche se con un ritardo di dodici minuti e mezzo da Gaul.
Magni vinse quindi più di settanta corse, indossò ventiquattro giorni la maglia rosa e nove la maglia gialla, tre anni la maglia tricolore, si aggiudicò sei tappe al Giro, sette al Tour e quattro alla Vuelta.
Un grande campione che però gli abitanti delle sue contradi natali non hanno mai amato veramente, non hanno mai sentito "loro" quel combattente della bicicletta capace di imprese da leggenda.
Il perché è legato a quel periodo oscuro della sua vita tra l'8 settembre del 1943 e il suo trasferimento nel luglio del 1944 a Monza. Magni non nascose mai le sue simpatie fasciste e repubblichine e per un episodio di resistenza passato alla storia combattuto a Valibona località dell'Appennino nel corso del quale furono uccisi numerosi patrioti venne processato. Finì assolto, sia pure per amnistia, e ritenuto colpevole di collaborazionismo. Ai fini della sentenza, tutto sommato benevola se si considerano le richieste del procuratore (30 anni di reclusione), pare che sia stata determinante la testimonianza a favore di Magni di un altro noto ciclista dell'epoca, suo coetaneo e compagno di corse. Chiusa la vicenda giudiziaria, proseguì però quella storica. Negli anni successi molte testimonianze dell'attiva presenza di Magni nelle file fasciste, ma coloro potevano sarebbero dovuti intervenire al processo e testimoniare contro di lui, se ne erano in grado secondo coscienza.