Mario Cipollini, la storia di un mito - 3a puntata

Rivista Tuttobici Numero: 9 Anno: 2005

Cipollini, una volata mondiale - 3a

di Bibi Ajraghi

È un Cipollini nuovo, quello che esce come rinato dal trionfo della Milano-Sanremo. E lo dimostra nella Gand-Wevelgem, il 10 aprile del 2002. La vince per la terza volta in carriera, ma soprattutto la vince al termine di una fuga, quando raggiunge tutto solo un gruppetto e lo doma allo sprint. Aveva ragione lui: vincere la Sanremo è stato come varcare la porta di Star Gate ed entrare in una nuova dimensione.
Il giorno della Gand Mario è entrato nel club dei campioni da classiche. Cipollini va all'attacco ritagliandosi un posticino in tutte le fughe di giornata fino a battere allo sprint gli ultimi quattro compagni di viaggio.
«Pedalo sulle ali dell'entusiasmo. Sono sorpreso anch'io, non mi aspettavo di andare così forte. So di aver fatto qualcosa di speciale. Penso di aver fatto un numero da campione. Per la prima volta mi sono sentito uno di quegli eroi che vedevo da piccolino alla tv. C'era un'euforia da fuga che non conoscevo, un'esperienza inedita. Mi è piaciuta».
Dopo la Gand, Cipollini vive il suo Giro più bello. Sei vittorie di tappa come mai aveva fatto: Munster, Esch-sur-Alzette, Caserta, Conegliano, Brescia prima di concludere con Milano in maglia ciclamino. Il pensiero è ormai indirizzato al Mondiale ma...
Martedì 9 luglio 2002, ore 22.19: un comunicato stringato dettato all'agenzia Ansa porta nelle redazioni di tutti i giornali un annuncio choc che scuote il mondo del ciclismo: Mario Cipollini grida «Mi ritiro». E accusa il mondo del ciclismo, un mondo nel quale non si ritrova più. Il suo è un vero e proprio atto di accusa.
«Smetto perché da questo mondo ho ricevuto tantissimo, ma meno di quanto ho dato... È il sistema che non funziona... Ci sono troppi colleghi non pensanti. Quello che mi è mancato è stato il rapporto umano con i miei sponsor. Dal Giro sono passati quaranta giorni, ma non è arrivato un telegramma né una telefonata per dire "bravo, siamo contenti". La cosa mi ha infastidito e amareggiato. E mi sono chiesto cosa resto a fare. Se non posso più partecipare alle corse importanti come il Tour, se non ci sono sponsor interessati ad investire su Cipollini, è davvero molto brutto.
«Il mio malessere è iniziato subito dopo la Sanremo: pensavo che vincerla avrebbe potuto portare cambiamenti, invece solo dietro grandi insistenze la mia squadra è stata invitata alla Roubaix: in un'Europa sempre più aperta e globale, com'è che esiste ancora un dittatore come Leblanc (il patron del Tour e della Roubaix, ndr) che fa il bello ed il cattivo tempo? Mi ha defraudato per due anni consecutivi dell'avvenimento più importante del ciclismo e nessuno mi ha difeso.
Quarantanove giorni. Tanti ne passa Mario Cipollini a pedalare come nella bella stagione non aveva fatto mai. Pedala, suda e riflette. Quarantanove volte, con ostinazione. Poi scrive: «Voglio incominciare rispondendo alla domanda che da tutto il mondo mi stanno ponendo sempre più insistentemente. Sì, continuerò a correre. È una scelta esclusivamente mia come tutta mia era stata la decisione di smettere. Negli ultimi due mesi ho pensato spesso che non mi sarei mai più rimesso un numero sulla schiena. Ero nauseato... L'affetto della gente, l'amicizia della squadra, i messaggi ricevuti sono stati altri fattori che mi hanno fatto riflettere molto...».
La marcia di avvicinamento a Zolder comincia dalla Vuelta, dove firma tre capolavori che gli consentono di entrare nel club ristretto di coloro che sono riusciti a vincere tappe in tutte e tre le grandi corse a tappe.
Alla fine della carriera il suo bilancio complessivo sarà di 42 tappe vinte al Giro d'Italia, dodici al Tour de France e tre alla Vuelta di Spagna.
Tre vittorie in una settimana di corsa, poi il ritiro, per tornare nelle sue terre a rifinire la condizione, a perfezionare il funzionamento di un motore che deve essere pronto per Zolder. Per rincorrere la maglia dei sogni.
E in Belgio, dopo un digiuno di dieci anni, ecco il salvatore dell'Italia ciclistica Mario Cipollini mettere tutti d'accordo. Vince, stravince, convince e riesce nell'impresa più difficile: quella di rendere squadra, anche per un sol giorno, dodici italiani, abituati a pensare alla propria causa, al proprio orticello, alla propria maglia. Eppure, quel giorno a Zolder, l'Italia di Ballerini e Cipollini è stata davvero una Squadra.
Un'occasione unica, quasi irrinunciabile, offerta dal destino: un campionato del mondo mai così piatto, mai così ben disegnato apposta per gli uomini- jet del gruppo. E così, a trentacinque anni, Cipollini fa il suo esordio "mundial" in maglia azzurra (in precedenza l'aveva vestita, tra i professionisti, solo alle Olimpiadi di Atlanta nel '96) con un fardello di responsabilità pesante come non mai. Chiede una nazionale il più possibile personalizzata, e Ballerini lo accontenta per quanto gli è consentito. E come tutti i campioni che si rispettino, nel giorno del giudizio non sbaglia. Sembra tutto facile, tutto scontato, ma così non è.
L'Italia controlla sempre la corsa, nel finale entrano in scena Petacchi, Nardello, Sacchi, Tosatto e Bortolami, l'ultimo strappo è un capolavoro di Di Luca e Bettini, che aveva a ruota proprio Re Leone, mentre il gruppo viene decapitato per una caduta avvenuta intorno alla trentesima posizione. Scirea entra in azione, e fa la discesa come meglio non potrebbe. Tocca quindi a Petacchi, che è allo scoperto già prima dell'ultimo chilometro e porta Lombardi e Cipollini fino all'imbocco della chicane Jacky Ickx.
Giovanni taglia le curve, e rilancia la velocità, si sposta, e Cipo prende il volo, che lo condurrà sul gradino più alto del mondo. Sul traguardo lancia un urlo liberatorio, che pare un ruggito: il Re Leone è campione del mondo.
«Quando ho tagliato il traguardo ho esitato ad alzare le mani, per paura che qualcuno potesse passarmi. Ho preso il via in uno stato di trance: era tale la concentrazione che i 256 km mi sono volati via. Ho fatto tutto per essere al 100% in quello sprint: cioé andare a letto alle 10, pedalare per sei ore al giorno e perfino non "trombare". Avevo la responsabilità anche di corridori come Bettini e Petacchi, che avrebbero potuto giocare le loro carte. Poi ho pensato che avevo fatto tutto per essere al top in quello sprint. È stata davvero la volata della mia vita, perché valeva molto, per non dire tutto. È il punto più alto della mia carriera. Lo sprint più importante. Sarà banale dirlo così, ma è esattamente il coronamento di un sogno».
Sul podio iridato, però, Re Leone tradisce un po' le attese: «È vero, sul palco iridato sono stato poco Cipollini, ma Cipollini è anche questo. Ho pensato che fosse giusto avere il massimo rispetto per il Mondiale. Forse nella mia carriera mi sono accontentato, avrei potuto fare di più, però sapevo vincere le tappe al Giro e al Tour, e questo mi bastava: era il mio equilibrio. Potevo essere competitivo in classiche come la Roubaix, ma avrei dovuto fare una preparazione specifica che contrasta con il lavoro del velocista. Io ottenevo quello che volevo, poi magari mi lasciavo andare alle vacanze».
È il 13 marzo 2003 quando Mario Cipollini, nella prima tappa della Tirreno-Adriatico, tappa di Sabaudia, vince la prima corsa in maglia iridata. Al suo primo impegno italiano dell'anno, alla sua prima volata da Zolder, Cipollini va subito a segno, nonostante gli anni siano quasi trentasei e le quindici stagioni da professionista già alle spalle.
«Questa non è una vittoria come le altre - dice commosso dopo il traguardo - non vedo l'ora di vedere la foto del mio arrivo a braccia alzate con la maglia di campione del mondo».
Due giorni più tardi Cipollini si ripete ma a Sanremo, nella corsa che ama e sente di più, deve arrendersi al guizzo di Paolo Bettini.
La stagione delle classiche non gli sorride e anche il Giro d'Italia non inizia con il piede giusto: nella tappa inaugurale, a Lecce, Re Leone deve inchinarsi ad Alessandro Petacchi che va ad indossare la maglia rosa. Cinque giorni più tardi arriva la sconfitta di Catania e poi ancora quella di Avezzano, quella più amara, quella che comincia ad insinuare nel cuore del campione toscano il tarlo del dubbio e dell'insicurezza.
«Probabilmente sono vecchio. È ora di smettere, di far largo ai giovani» si lascia scappare durante uno sfogo.
Ma il Re non ha ancora abdicato. E lo dimostra ad Arezzo, nell'ottava tappa, quando ritrova il successo ed il sorriso, eguagliando Alfredo Binda nel numero di tappe vinte al Giro d'Italia.
E se dev'essere record, record sia, si dice. E l'indomani a Montecatini, proprio vicino a casa, entra nella storia del Giro vincendo la sua quarantaduesima tappa: «ho battuto Binda, un mito che non avrei mai pensato di eguagliare, anche se so che tra noi resta un abisso. Potrei fare il cameriere ad un campione come lui, ma almeno ho avuto il merito di aver fatto sì che si torni a parlare di lui».
Ma quello di Cipollini è un record carico di amarezza, perché preceduto di poche ore dall'ennesima delusione proveniente dalla Francia. Il Tour non lo vuole.
«Sono tre anni che Jean-Marie Leblanc mi nega la possibilità di partecipare alla Grande Boucle - si sfoga - e sono tre anni che gli sponsor investono denaro in me e nella mia squadra e rimangono danneggiati, e sono tre anni che non capiamo il perché. La maglia che indosso è un patrimonio del ciclismo mondiale eppure Leblanc la ignora, la nega, la tradisce. La sua è una dittatura e le sue scuse non convincono nessuno».
La felicità per il record di 42 vittorie diventa tristezza piena due giorni più tardi, sull'asfalto bagnato di San Donà di Piave, quando l'irruenza incontrollata dello spagnolo Isaac Galvez, fa volare per terra Cipollini. Mario cade pesantemente, si rialza, risale in bici e taglia il traguardo ma il dolore lo convince ad effettuare un controllo radiografico in ospedale.
«Pare che ci sia un'infrazione che però non si può immobilizzare» spiega quando esce dal nosocomio su una sedia a rotelle e ancora non sa che quella caduta è destinata ad avere un ruolo importante nel finale della sua carriera.
Normale e logico è il suo ritiro dal Giro, meno normale e certo illogico il verdetto del Tas, il Tribunale Arbitrale dello Sport, al quale la Domina Vacanze si è rivolta per rivendicare il diritto di partecipare al Tour. Cipollini non ci sarà, è il verdetto, e la stagione di Super Mario va in soffitta con un pizzico di malinconia con l'inevitabile rinuncia alla difesa della maglia iridata su un percorso, quello di Hamilton, in Canada, che non gli avrebbe concesso alcuna chance.
Inizia una nuova stagione ma, nonostante i buoni propositi di patron Ernesto Preatoni, che decide di gestire in prima persona i rapporti con Mario, lasciando più defilato il team manager Vincenzino Santoni, la stagione prende una brutta piega. Mario non si sente a suo agio in un ambiente che non riconosce più. Al Giro, dopo sconfitte e cadute, lascia prima della tappa di Frosinone: «Penso che questo sia stato il mio ultimo Giro, potrei non correre più...».
Cipollini, oltre ad essere livido sul corpo, è amareggiato nel morale. «Esco da questa corsa con il morale sotto le scarpe. E ora non sarà facile ritrovare le motivazioni».
Nei mesi seguenti, Mario si macera in silenzio, riflette, cerca di capire quale può essere il suo futuro. La svolta arriva sulle strade del Mondiale di Verona, dove Re Leone è a bordo strada, ospite e tifoso. È qui che incontra i dirigenti della Liquigas Bianchi, una nuova formazione inserita nel novero del ProTour, il nuovo circuito che rivoluziona il ciclismo professionistico.
Un'idea, una proposta, un accordo rapidissimo: Mario torna in sella.
«Ho la sensazione che il mio orologio personale si sia fermato alla caduta di San Donà del 2003: quel giorno avevo sensazioni straordinarie e sono convinto che, se non fossi caduto, lì sarebbe iniziato il mio recupero» confessa.
Il suo spirito agonista e la voglia di essere protagonista di una svolta epocale quale quella del ProTour lo spingono nuovamente ad accettare la sfida, anche se gli anni cominciano a fare sentire il loro peso: il 22 marzo saranno trentotto.
A dicembre vola nel suo amato Sudafrica con i nuovi compagni di squadra, non ha più un suo treno personale, Scirea ha smesso per questioni anagrafiche e sta per salire proprio sull'ammiraglia della Liquigas Bianchi.
È un Cipollini nuovo, quello che si affaccia sul 2005, più riflessivo ma non meno motivato: «Lo scorso anno mi sono allenato troppo e sono arrivato scarico alle corse, stavolta ho fatto tesoro degli errori commessi. Gli obiettivi? Quelli di sempre: Sanremo, Giro d'Italia e poi mi stimola questa sfida del ProTour. È un progetto che può aiutare il ciclismo a crescere ancora».
Comincia presto a correre, Re Leone, come non ha mai fatto: prima uscita a Doha, in Qatar, tra sabbia e sceicchi, dove poi si corre anche il Giro di quel minuscolo emirato. Cipollini è secondo nella prima tappa, battuto dal belga Boonen, poi tre giorni dopo beffa il rivale per soli due centimetri, regala all'Italia la prima vittoria di stagione e torna a vincere dopo nove mesi e quattordici giorni, andando a segno per la diciassettesima stagione consecutiva.
Corre, fatica, torna a vincere anche in Italia: accade il 7 marzo, nel Giro della Provincia di Lucca. Con astuzia taglia l'ultima curva prima del traguardo e precede il giovane neoprofessionista Paride Grillo e il suo ultimo grande rivale, Alessandro Petacchi. Una signora vittoria che gli dà morale e lo spinge a sognare ancora la Sanremo.
Ma in Via Roma, due settimane più tardi, Cipollini la volata la osserva da dietro, vede Petacchi andare a vincere, capisce che è arrivato il momento del grande passo.
«Mi sono reso conto di non essere più quello che volevo essere: si è spezzato l'equilibrio fra la testa, che voleva resistere e andare avanti, e le gambe, che invece non rispondevano come avrei desiderato».
La passerella rosa, nel prologo del Giro d'Italia, vale un trionfo: tributato da tutti i tifosi al più grande velocista italiano della storia.
(Terza ed ultima puntata).