Storia di Luigi Ferrando

Luigi Ferrando, nato ad Acquasanta (Genova) il 28 aprile 1911, è stato un campione degli anni Trenta, il corridore genovese forse più popolare di tutti i tempi.
Atleta precocissimo, inizia a correre nel 1924, spesso ingannando gli organizzatori delle competizioni alle quali partecipa sulla sua vera età. Nel 1926 conquista il titolo di campione ligure Allievi e, tra i dilettanti, conquista una serie impressionante di successi, vincendo gare importanti quali le Coppe Federico Momo e Paolucci Curzio. Nel 1930, a soli 19 anni, è campione italiano assoluto nella categoria Indipendenti, imponendosi all'attenzione dei critici come una delle più brillanti promesse del ciclismo nazionale.
Nello stesso anno conquista il secondo posto nella Tre Valli Varesine, superato solo da Albino Binda, fratello del più celebre Alfredo.
Partecipa a diverse edizioni della Milano-Sanremo e del Giro di Lombardia, a due Giri d'Italia (nel 1931 e nel 1934), ed alle altre classiche nazionali, nelle quali è spesso protagonista, meritando la giusta attenzione da parte della stampa specializzata e riscuotendo sempre maggiori simpatie tra gli appassionati.
Nell'edizione del '31 della Predappio-Roma, sulla distanza di 480 chilometri, è solo al comando, ma un incidente meccanico gli impedisce di proseguire verso la vittoria: arriva 20° ad oltre trentotto minuti da Gestri: il giorno dopo la Gazzetta dello Sport lo incorona vincitore morale della competizione.
Atleta eclettico, si dedica non soltanto alle corse su strada (nelle quali era molto forte in salita), ma anche alla pista (vincendo una americana durante la sfida Italia-Francia al velodromo genovese della Nafta) e, soprattutto, al ciclocross, diventando un vero e proprio "campionissimo" in questa specialità.
Tra il 1932 ed il 1939 è il dominatore incontrastato in campo nazionale, conquistando ben cinque titoli assoluti ('32, '35, '36, '38 e '39), oltre ad un secondo posto ('37). Solo Renato Longo, negli anni '60, supererà questo invidiabile record.
La sua popolarità, tuttavia, è legata soprattutto alla vittoria ottenuta nella quinta edizione del Giro dell'Appennino, quella del 1938. La corsa (che, all'epoca, si chiamava Circuito dell'Appennino) si disputava sulla distanza di 140 chilometri: partenza da Pontedecimo e, dopo avere scollinato una prima volta sul Passo dei Giovi, si percorreva la Valle Scrivia sino a raggiungere Novi Ligure per poi ritornare sulla stessa strada sino a Pontedecimo. A quel punto iniziavano i 50 terribili chilometri finali (Bocchetta, Castagnola, Giovi).
Già nell'edizione del '36 Ferrando aveva rischiato di vincere: primo sulla Bocchetta, si rese protagonista (insieme ad Augusto Como) di un finale tumultuoso. I due, infatti, disputarono una volata non troppo cavalleresca, commettendo diverse scorrettezze. La giuria premiò il terzo (Simonini) e retrocesse i due contendenti, che vennero classificati secondi a pari merito.
Evidentemente Luigìn, che aveva tagliato il traguardo gesticolando, sapeva che quella corsa era la "sua" corsa e, nel 38, vinse alla grande, staccando tutti sulla Bocchetta (ancora sterrata) e giungendo in solitudine al traguardo con un vantaggio di quasi tre minuti sul secondo classificato.
E chi staccò, tra gli altri, sulla salita delle streghe Luigìn? Un giovanissimo Fausto Coppi che, non ancora diciannovenne, partecipò al Circuito dell'Appennino vestendo i colori del dopolavoro Montecatini di Spinetta Marengo ed arrivando sesto al traguardo, con un distacco di quasi cinque minuti.
All'inizio dell'ascesa Coppi cercò di non farsi staccare da Ferrando, che saliva in agilità e, quest'ultimo accorgendosi della tenacia del ragazzo, si rivolse a Ghiglione (il creatore del Giro dell'Appennino e direttore della corsa) dicendogli : "Ma chi è quello lì, che non me lo posso togliere dalla ruota?". "Te ne accorgerai" gli rispose.
Ferrando avrebbe potuto vincere più corse, certamente. Arrivato forse troppo in fretta alla ribalta del ciclismo che conta, è stato tradito -secondo il giudizio di alcuni critici- dalla giovane età e da una eccessiva fiducia nei propri mezzi. Altri gli hanno rimproverato un difetto di tenuta nelle corse superiori ai 180 chilometri.
Molti non sanno, tuttavia, che Ferrando avrebbe dovuto correre per i colori della Bianchi e che il passaggio alla prestigiosa casa non si concretizzò per l'inspiegabile atteggiamento ostruzionistico del titolare della fabbrica di bici con le quali gareggiava: costui, evidentemente, era tanto geloso del suo pupillo da impedirgli di accettare un'opportunità irripetibile che, con ogni probabilità, avrebbe proiettato Luigìn verso una carriera ancor più ricca di successi.