Le imprese leggendarie di Fabiana Luperini - Pianezze (25 giugno 1995)

Il Giro '95 era arrivato a Crocetta del Montello, dove sarebbe partita la quarta tappa che avrebbe condotto le girine sulla prima vera e grande asperità della storia della manifestazione, il Monte Cesen, in località Pianezze. Alla partenza, ebbi la possibilità di notare la tranquillità che regnava nella Sanson-Edera. Amadori aveva fatto davvero un grande lavoro, perché una tranquilla Alessandra Cappellotto, contenta dei tre giorni in rosa, aspettava l'epilogo con la serenità di una che sa di non potersi difendere dalle più forti su simili pendenze. La sorella Valeria, aspettava con grinta lo scontro con la Chiappa che, a giudizio di Marino, era da considerarsi la sua naturale "alter ego". Roberta Bonanomi, Nada Cristofoli e Monia Gallucci avevano ben inteso il loro ruolo di ravvivare l'andatura e di tenere il gruppo unito fino ai piedi del Cesen. Straordinaria addirittura, la tranquillità con la quale la punta della giornata e predestinata al rosa Fabiana Luperini, aspettava di esaurire il suo compito di esecutrice finale. Da lei ci si aspettava il "punch" vincente e solitario ai danni della grande avversaria svizzera, sicuramente più esperta nell'affrontare quelle grandi montagne che in Italia erano pressoché sconosciute, o patrimonio dei soli ciclisti. Fabiana donava sorrisi ed aspettava di agire come quella specie di chirurgo che avevo visto due anni prima a Sospirolo, in occasione del Giro del Piave.
La corsa si dipanò secondo i dettami consigliati da Marino Amadori, ed ai piedi del Monte Cesen, il gruppo si presentò compatto e pronto a verificare gli storici valori di quella prima grande ascesa in un Giro d'Italia. Ad otto km dalla vetta, come si prevedeva, erano rimaste in due, Fabiana e la Zberg. La Luperini, sempre in testa a scandire il passo sui pedali, cominciò a sgretolare la grande avversaria che invece preferiva rimanere sulla sella. Le accelerazioni della "piccola Gaul" di Cascine di Buti, resero affannata e rossa la svizzera che in quelle condizioni non era mai stata relegata da nessuna singola avversaria. Certo, in carriera si era ritrovata a dover rispondere all'azione a tenaglia di russe, ucraine, francesi e lituane, ma mai una sola avversaria l'aveva messa alle corde. Ed infatti a sette chilometri dalla vetta e dal concomitante traguardo, Fabiana alleggerì nell'aria la sua danza sui pedali e staccò la grande e blasonata rivale. I chilometri finali, furono un autentico trionfo per la piccola atleta che, pian piano, incontrò quelle ali di folla capaci di esaltarla ulteriormente. Per la prima volta il suo "Fans Club" aveva dato quella grande dimostrazione di presenza e colore che poi ne caratterizzeranno il futuro, al pari dei voli verso il mito della
beniamina. Lo scenario del traguardo si presentò tangibilmente suggestivo, con una collina sulla destra della fettuccia d'arrivo, interamente coperta dalle gesta d'ammirazione di una folla enorme. Fabiana arrivò sola, fra le urla di un pubblico entusiasta, sul quale emergevano i ritornelli, le rime ed i canti di un mare di giovani cascinesi. C'erano anche tanti occhi lucidi e vere e proprie lacrime, non solo quelle dell'ormai solito Giovanni, ma anche quelle di Eugenio Brunelli, il vice presidente della Sanson-Edera e uomo che per il ciclismo e la Luperini in particolare, si sarebbe giocato le stesse fortune che l'avevano fatto lacrimare ed entusiasmare ai tempi di quando seguiva da vicino la "Formula Uno" e la grande e mitica rossa. Piangeva anche il sottoscritto, come piange e si emoziona tutt'oggi mentre scrive e ricorda quel giorno. Certo piangeva ed aspettava di abbracciare quello scricciolo con la maglia verde del Gran Premio della Montagna, che aveva dato un saggio delle vere ed immortali essenze del ciclismo, quelle che si consumano in montagna. Uno scricciolo su cui di lì a poco avrebbero fatto indossare quella maglia rosa che poi diverrà siamese al suo essere "reginetta dei monti e delle imprese". Fabiana aveva vinto certo una tappa che ancora non significava il Giro, ma aveva scacciato i fantasmi di una corsa che, per vari motivi, per due anni, era stata costretta a disertare e che le sembrava stregata. Lo aveva fatto col piglio dei campioni e col coraggio di chi osa senza quelle logiche che tanto sentono i campioni di oggi, troppo legati alle barbare e robotiche logiche della programmazione totale.
Eravamo tutti lì a coccolare quella "bambina" che aspettava l'arrivo della grande avversaria svizzera. E la Zberg giunse con un ritardo di 1'38", ben più grande dei suoi valori numerici. Io intanto mi godevo con gli zigomi bagnati dalle lacrime, accanto ad un altrettanto bagnato Giovanni, la visione di quella divina piccola di statura, che già individuavo come la rivincita più cocente verso quei superficiali, spesso tecnici, che vogliono l'atleta alto e fusto e che non sanno vedere altro. Quante tragedie hanno partorito nello sport, le assurde convinzioni di questi poveri ignoranti, addirittura idioti se vestiti dell'abito di tecnici! A quasi tre minuti e mezzo, Valeria Cappellotto regolò con l'esultanza di una vincitrice Imelda Chiappa per il terzo posto, completando la grande giornata di una squadra compatta ed unita, al punto di sciogliere le tante "cassandre" che l'avevano data come un crogiolo di divisioni.
Article posté par: Maurizio Ricci (Morris)