Hugo Koblet - dalla fine della carriera alla morte misteriosa

Quando smise di correre aveva 33 anni e molti suoi desideri erano rimasti inappagati. Ad esempio, non era diventato campione del mondo dell'inseguimento perché chiuso da Coppi, Bevilacqua e Messina. Decise di andare in Venezuela, dove rimase dal '58 al '61. Chi disse che era andato laggiù allo scopo di investire soldi (erano gli anni in cui a Caracas si poteva fare fortuna senza troppa fatica). Chi, invece, riteneva di sapere che Hugo aveva lasciato la Svizzera per allontanarsi da un certo ambiente. E' risaputo che in circostanze come queste, le illazioni si moltiplicano. Le notizie che arrivavano dal Venezuela parlavano di un Koblet che provava molta nostalgia per l'Europa e per la Svizzera in particolare. Il miraggio di facili guadagni continuava a rimanere un miraggio, anche perchè chi gli aveva promesso appoggi non si era fatto più vedere. Si stava persuadendo che gli amici che non ti mollano quando sei sulla breccia come campione osannato, diventano irreperibili quando esci di scena. Tornò in Svizzera. Si sforzava di sorridere a tutti, ma si capiva che si trattava di un sorriso che gli costava fatica. La federazione elvetica non gli lesinò il proprio appoggio, nominandolo tecnico nazionale degli stradisti. Sembrava contento, ma non lo era veramente come lo era stato per anni. Aveva sofferto più del logico l'uscita di scena come campione. Gli venne affidato l'incarico di ispettore di una industria di carburanti. E fu durante una trasferta che si verificò l'incidente che gli costò la vita. Era il 2 novembre 1964 e stava viaggiando solo al volante di una bianca Alfa Romeo sport, della quale era molto orgoglioso. Percorreva la strada, che non presentava difficoltà per nessun guidatore, da Moenchall a Esslingen. Una strada che Hugo era abituato a fare. Si disse che avrebbe potuto percorrerla a occhi chiusi. Giunto a un'ampia curva, ando diritto. Uscita di strada, l'Alfa finì contro una pianta e si sfasciò. Hugo vi rimase imprigionato dentro, privo di sensi. Ricoverato all'ospedale di Ulster, le sue condizioni vennero giudicate disperate. Ad accorgersi di ciò che era avvenuto furono alcuni contadini che lavoravano nei campi. Uno di essi, Hans Selbell, testimoniò: "La macchina stava sopraggiungendo a velocità normale ed è uscita di strada finendo contro la pianta. Sono accorso con altri contadini e abbiamo capito subito che se avessimo tentato di estrarre Koblet dalla macchina, ne avremmo provocato la morte". La polizia cantonale stabilì che non vi era traccia di frenata e concluse che Hugo Koblet era uscito di strada probabilmente perché colto da malore. La notizia dell'incidente venne variamente commentata. Koblet guidava bene, gli piaceva la velocità ma non era di quelli che facevano pazzie quando si trovavano al volante di un'auto sportiva. Era solito dire che si sentiva più sicuro in bicicletta, quando affrontava le discese a velocità folle. Sottovoce ci fu chi disse che stava attraversando un brutto momento, a causa di un esaurimento nervoso. Cosa che la moglie Sonja smentì categoricamente. Un esperto di guida spiegò che se fosse andato veramente a velocità normale, non avrebbe sfasciato l'auto contro la pianta. Venne fuori chi precisò che nello stesso punto, dieci giorni prima, Hugo era stato messo in pericolo da tre caprioli che attraversavano la strada.
Mentre venivano fatte supposizioni e malignità, Koblet era in fin di vita. Gli erano state riscontrate una quindicina di fratture e si erano rese necessarie una ventina di trasfusioni. Le assidue cure del professor Richard Kubler servirono solo a mantenerlo in vita fino alle ore 1.44 del 6 novembre. Il dottor Eugenio Rupf, amico dello scomparso, dichiarò: "Mi rassegno pensando che se Hugo non fosse morto, sarebbe stato invalido per sempre e un atleta come lui invalido per sempre non era proprio da accettare". Lo stesso giorno, in Italia, Felice Gimondi sottoscrisse il suo primo contratto da professionista (con la Salvarani), Vittorio Adorni fece la prova generale delle sue nozze (avvenute ventiquattro ore più tardi) ed Ercole Baldini annunciò il ritiro dall'attività.
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