Storia di Quirico Bernacchi

Da ragazzo faceva il portalettere alle Poste del paese (Veneri di Pescia) lavorando per conto del padre, gestore. Lo faceva in sella alla bici e questo gli consentiva di scorrazzare sui saliscendi delle colline intorno a Pescia.
Iniziò la carriera di corridore nel 1932 da allievo e dal 1934 al 1937 svolse attività dilettantistica con 40 vittorie complessive tra cui il Campionato Toscano dilettanti nel 1936 che gli valse la maglia azzurra al campionato mondiale dilettanti di Berna dello stesso anno.
Il debutto tra i professionisti non avrebbe potuto essere più promettente, arrivò 4° nella Genova-Nizza e 4° anche nel Gp Armistizio per poi culminare con il successo di tappa al Giro d'Italia. Era il 9 maggio del 1937, seconda tappa del Giro d'Italia, 148 chilometri da Torino ad Acqui Terme. Bernacchi vinse quella tappa precedendo in volata Bizze e Gotti e indossando la maglia rosa. Simbolo del primato che portò per un solo giorno prima di cederla l'indomani a Valetti in un Giro che alla fine avrebbe visto il successo di Gino Bartali.
Nel 1938 va ad abitare a Roma per esigenze professionali legate alla sua nuova squadra la Gloria di Falesi e Cecchi di Roma. Tutta proiettata verso il Giro d'Italia la sua preparazione prevedeva la disputa, tra le altre corse, del Giro di Campania in quattro tappe. Fu proprio nel corso della prima tappa Napoli-Salerno che transitando sulla cima di un colle, in una giornata particolarmente afosa, si ferma a bere in una pilla maleodorante. Anche se il suo rendimento fu discreto (4° nella seconda tappa e 5° nella classifica finale) inizia ad accusare, di sera, alterazioni febbrili che ben presto sfociano in febbri altissime che i medici identificano in tifo. La malattia, che lo costringe all'inattività per sei mesi riducendolo in fin di vita, inferse alla carriera uno stop pressoché definitivo.
Infatti prima dello stop per la seconda guerra mondiale si segnalano soltanto un 8° posto nel campionato italiano 1943 e il 6° posto nel Giro di Campania del 1940.
Quando nel dopoguerra ci fu la ripresa dell'attività ciclistica il corridore toscano, ormai 32enne, iniziò la preparazione meditando un rientro decoroso, ma le sensazioni avvertite non furono tra le migliori e abbandonò definitivamente l'idea.
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