Un diavolo di campione, un angelo d'uomo: Gino Bartali

Ottantacinque anni, pittore e amico di Bartali, Adorno Bonciani, dipinge per noi le prime tappe del "Pio Gino" nella corsa verso Dio

Un diavolo di campione, un angelo d'uomo

"Dal colle de' Moccoli al Lombardia: gambe, fede e bistecche di Marino"

Non è facile leggere una tale carica di emozione sul volto di un uomo di 85 anni che, davanti ai suoi ricordi, agita la stampella della vecchiaia come fosse la bacchetta di un direttore d'orchestra, che in un'atmosfera suggestiva, da museo, colma di quadri e scandita dal ticchettio degli orologi da tavolo della sua collezione, riporta quelle lancette indietro nel tempo, agli albori, alle prime tappe della storia di un simbolo dello sport italiano come Gino Bartali. Il "direttore", Adorno Bonciani, pittore ed artista coetaneo del corridore, ci racconta, nella sua abitazione alle pendici di Fiesole, la giovinezza e le fatiche di un campione sportivo e di un uomo per il quale "se lo sport non è scuola di umanità non vale nulla".

"Ginettaccio", così soprannominato per il suo carattere onesto, schietto, sincero, ma anche molto focoso, iniziò le sue corse in bicicletta da bambino, quando, tornando da scuola, "gareggiava con i compagni e li lasciava indietro nelle salite più dure, come quella del colle dei Moccoli, chiamato così perché faceva bestemmiare i barrocciai, costretti a scendere dal carretto per tirare il cavallo. Era una salita con una pendenza del 12-13%, una salita da "pigliare i' sughero", come si diceva a Ponte a Ema. Quante volte dalla Canarona (l'ammiraglia al seguito della corsa n.d.r.) io, Zulimo, Pallucce, Ferraciuchi, abbiamo trainato i nostri corridori stremati, che stringevano in bocca il sughero attaccato al chinesino, un filo resistentissimo che i calzolai usavano per cucire le scarpe! Gino quella salita riusciva a farla non solo senza sughero ma anche senza le mani sul manubrio".

Bartali aveva un talento innato per la bicicletta. "Il primo ad accorgersene fu Oscar Casamonti" aggiunge il pittore, "il meccanico di biciclette dal quale Gino iniziò a lavorare come apprendista. Fu lui a convincere Torello che quel suo figliolo aveva stoffa da vendere e che doveva correre". Adorno Bonciani rivede Bartali correre spinto dalla forza delle sue gambe d'acciaio, ma anche dal suo credo religioso; "Gino era un uomo di grande fede, che però non gli fu trasmessa dai genitori. Ricordo ancora la voce di mamma Giulia, una mugellana forte ed energica, che richiamava il "suo" Gino quando da bambino giocava con le murielle insieme a noi: - Vieni Gino, loro sono ragazzini per bene, vanno in chiesa! Vieni a desinare, è mezzogiorno! E lui: - Vengo mamma, fo il mio primo e ultimo (tiro n.d.r.) e arrivo!-".

Come che sia arrivato alla fede è certo che Bartali fosse un uomo molto credente. Da ragazzo si iscrisse all'Azione Cattolica, della quale ha portato sempre la spilla sul petto. "Una volta, di ritorno dal Tour de France, si addormentò nello scompartimento del treno: durante il sonno qualcuno gli sfilò la sua spilla dalla giacca e la sostituì con quella del fronte popolare francese. Gino si arrabbiò moltissimo, la scaraventò a terra ed ebbe una reazione davvero veemente. Questo episodio lo raccontava spesso ed era fiero ed orgoglioso di quanto aveva fatto: pronto a difendere le sue opinioni perfino a suon di pugni se necessario. Questo era Bartali. Anzi questi erano i Bartali: anche Torello, socialista convinto, da giovane aveva partecipato in prima persona e senza risparmio alle lotte operaie e alle battaglie sindacali".

Il "Pio Gino", un altro dei suoi soprannomi, non si servì mai della religione e della sua fede cattolica, ma al contrario la professò e la difese anche quando "alcuni gli suggerivano di non manifestarla apertamente in luoghi come le Fiandre, dove la popolazione era per la maggior parte di confessione protestante". L'amore e la fede in Dio, insieme alle bistecche di Marino, davano a Gino la forza per vincere quelle gare, quelle sfide che sembravano impossibili e che esaltavano la gente e i suoi tifosi, "come a L'Aquila, nel '35, quando vinse la settima tappa del Giro, prima vittoria da professionista: come premio gli diedero un'automobile e noi in paese cantavamo: - Dopo la corsa settima gl'ha vinto la Balilla...!" Tanti sportivi tifavano per Bartali. Anche Papa Pio XII si dice fosse dichiaratamente bartaliano, indicando il campione come un modello da seguire. Gino, che aveva dedicato tutte le sue vittorie alla Vergine Maria, che considerava il catechismo come l'insegnamento fondamentale per ogni uomo, fu un campione applaudito in tutta la penisola, non solo per le sue imprese sportive ma anche per quelle umane. Non furono insomma solo la grinta e la tenacia ad azionare il pedale del successo e certamente la strada non fu sempre in discesa, ma Bartali era uno straordinario grimpeur. "Ricordo un episodio che Gino amava raccontare spesso: nel '36 fu invitato dalla Legnano al Giro di Lombardia, ma in quel periodo ebbe un calo di forma, probabilmente dovuto alla tragica morte del fratello e così rinunciò alla proposta. Continuò comunque ad allenarsi sulle strade del Mugello e sul San Giovanni a San Casciano. Qui un giorno trovò un vecchio in difficoltà che, dopo aver fatto i suoi bisogni, non riusciva a riabbottonarsi i pantaloni. Lo aiutò, gli disse due parole di conforto e riprese la strada: appena risalito in sella alla bicicletta si sentì pervaso da una grande energia, da una forza nuova che lo spinse in tre pedalate in cima alla salita. La sera stessa andò all'ufficio postale e fece un telegramma a Papà Pavesi (il direttore sportivo della Legnano n.d.r.) per annunciare la partecipazione al «Lombardia», vinto poi alla grande".

La fede di Gino era dunque talmente forte che riuscì a superare ostacoli estremamente duri, come la morte del fratello, che forse, come sarebbe lecito immaginare, avrebbe potuto incrinare la dedizione religiosa del campione. "Certamente la morte di Giulio fu un duro colpo per Bartali, ma la sua fede resistette. Il fratello morì fatalmente durante una gara di ciclismo a causa di uno scontro con un'automobile, la macchina di un prete per giunta, che precedeva i corridori e che fu fermata in prossimità di una curva. Gino effettivamente, a quel punto, avrebbe voluto smettere di correre, ma l'affetto della gente, o forse qualcun altro, non glielo ha permesso".
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