19 marzo 1960 - Milano-Sanremo

Prima del via, Giuseppe Ambrosini invita i corridori a volgere un pensiero a chi non c'è più: l'organizzatore Armando Cougnet, Fausto Coppi, vittima di un tragico destino, e Gérard Saint, lo "spilungone" del gruppo, coi suoi 192 centimetri, morto tre giorni prima in un incidente stradale. Dopo 105 chilometri due gruppetti in fuga si ricongiungono e sul Turchino è l'inglese Tom Simpson a fare il vuoto. Viene raggiunto ai Piani d'Invrea soprattutto sotto la spinta di Nencini e Guido Carlesi, a loro volta usciti dal plotone. Sul Berta restano in sette: Nencini, i francesi Privat e Robert Cazala, Pambianco, lo spagnolo Luis Otano, il belga Yvo Molenaers e Simpson. Il gruppo con Van Looy, Poblet, De Bruyne e il francese Roger Rivière reagisce con violenza ma non riesce a colmare lo svantaggio. Eccoci al Poggio, il correttivo voluto per evitare gli arrivi in massa, con la speranza che, mutando percorso, possa cambiare anche il risultato, togliere cioè ai velocisti stranieri il monopolio del successo. Nencini prende la testa con a ruota il compagno Molenaers, poi Privat e Pambianco. Dopo un chilometro di salita scatta Privat, ripetutamente, e solo Nencini tenta di resistere. Invano. Intanto, da dietro, rinviene il biondo Graczyk che raggiunge Nencini, Pambianco e gli altri e si mette da solo sulle tracce di Privat, che discesista non è. Gli arriva a meno di 100 metri, ma prende male una curva e getta al vento una grande possibililtà. La caduta gli costa la possibilità di giocarsi la vittoria e arriva a 11' da Privat, ex zappatore, testa dura da contadino, che si prende la rivincita: due anni prima era crollato a soli 3 chilometri e mezzo dal traguardo, dopo una fuga cominciata al tredicesimo chilometro, nel corso della quale aveva via via perso i suoi compagni d'avventura ed era rimasto solo sul Berta. Doveroso registrare un'altra media record, doloroso constatare che il ciclismo italiano esce ancora con le ossa rotte.
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