Stefano Allocchio: dov'è il cameratismo?

Rivista Tuttobici Numero 10 - Anno 2008

Stefano Allocchio: dov'è il cameratismo?

di Gino Sala

Come sono lontani i tempi di "ciao mamma, sono contento di essere arrivato primo". Tempi di un ciclismo eroico se paragonato a quello di oggi. Ragazzi di stirpe contadina, figli di operai in cerca di fortuna a cavallo di una bici. Un mondo completamente diverso se confrontato col vivere dei nostri giorni, peggiore per certi versi, migliore per altri. Adesso abbiamo corridori laureati che quando smettono di pedalare diventano imprenditori, dirigenti d'azienda, uomini di spicco, per così dire, e se rimangono fedeli alle loro origini, come il trevigiano Marzio Bruseghin, tengono discorsi interessanti quando vengono intervistati.

La premessa coinvolge Stefano Allocchio, un milanese nato il 18 marzo del 1962, professionista dal 1985 al 1993, velocista con undici vittorie tra le quali figurano quattro tappe del Giro d'Italia. Un Allocchio elegante nel vestire, quasi salottiero, prudente nell'esprimersi, deludente per certi aspetti, ma fedele, rispettoso del ruolo che esercita che è quello di appartenenza alla famiglia della Rcs, sigla ciclistica della Gazzetta dello Sport, un uomo di Angelo Zomegnan, per intenderci.
Siamo stati compagni d'avventura e pensavo di ricavare dal colloquio qualcosa, come dire?, di piccante. Comprendo e mi accontento nell'apprendere che il periodo più brutto della sua carriera è stato nella stagione '87, un anno perso per aver sbagliato la preparazione. Belli, indimenticabili i giorni in cui ha battuto Saronni, Freuler e Cipollini.
«Il mio ciclismo era diverso e direi migliore di quello odierno» fa notare Stefano. «Non esistevano i cellulari e le radioline con le quali i direttori sportivi potevano comunicare con i loro tesserati. C'era più fraternità, più sorrisi, sono scomparsi gli incontri, le passeggiate serali. Un gruppo più ciarliero, anche se meno ricco a giudicare dai compensi di oggi...».

Già, i guadagni sono notevolmente aumentati, ma esistono ancora i poveri, i ragazzi con paghe misere, per non parlare di quelli che non ricevono il dovuto. E non sono pochi, sono il frutto di un ciclismo in mano a gente senza scrupoli, per tanti aspetti bisognoso di efficaci interventi. Al contrario si tentenna, si concede spazio agli arraffoni e ai disonensti, ad un ambiente che necessita di una poderosa ramazza per portare ordine nel disordine, ragion per cui mi sarei aspettato una severa denuncia da parte di Allocchio, che ben conosce l'ambiente in cui opera e che sotto sotto lascia capire ciò che non dice a voce alta.
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