Gino Bartali - Il ciclista che diventò l'emblema di un'epoca

Pedalava quel ragazzo di toscana senza perdere il fiato. Il suo corpo, le sue gambe, la sua mente, i suoi sogni...sapeva che lo avrebbero fatto diventare un campione.

Il ciclismo è uno sport dal sapore davvero speciale, che a differenza ad esempio del calcio, non ha un momento improvviso in cui l'atleta e la folla scoppiano in una estasiante ovazione come in seguito ad un goal. Il ciclismo impone al corridore di convivere perennemente con la fatica, con la sofferenza ed il timore di un improvviso cedimento dei muscoli. È uno sport che vive tra le strade delle città, e che sembra abbia il potere di attrarre a sé la gente andandola a chiamare fino a casa. Tutto questo ha sempre fatto parte della particolare dimensione sportiva del ciclismo, che per l'Italia viene identificato in un duello tra due amici leggendari che divisero il paese: il grande Fausto Coppi, e l'eroe di questa favola: Gino Bartali.

Se si volesse ricordare la storia del '900 d'Italia citando i 10 nomi più rappresentativi certamente dovrebbe essere ricordato Gino Bartali. Il ciclista infatti come tutti i campioni di qualsiasi disciplina non soltanto sportiva, ha travalicato la semplice figura del fuoriclasse ed è diventato per milioni di italiani il simbolo di una certa filosofia di vita a cui fare riferimento. La sua storia di uomo ebbe inizio alla vigilia della prima guerra mondiale in un paesino poco distante da Firenze, lì dove poco dopo aver imparato a camminare già si ritrovò su quello che in quegli anni costituiva il principale mezzo di locomozione per l'Italia intera: una bicicletta.

Diventare un ciclista per il giovanissimo Bartali sembrava essere una vera e propria vocazione, ma c'erano delle difficoltà dovute al fatto che anche Gino come la maggioranza degli italiani faticava a sbarcare il lunario. Per provare a rendere concreti i propri sogni in quegli anni c'era davvero poco tempo, ma l'istinto alla corsa in Bartali era una forza ingestibile che sembrava quasi urlargli un ordine interiore. Fu così che decise di iniziare ad allenarsi in vista di una prima competizione dilettantistica. Quel ragazzo non lo sapeva, ma già aveva iniziato a scrivere la favola del mito che sarebbe diventato.

Era un'adolescente Bartali, ma già si allenava come un ciclista professionista nonostante non avesse mai gareggiato in competizioni ufficiali. Non gli restava che cercarsi degli avversari per confrontare la sua velocità con quella di altri giovani. Decise così di iscriversi ad una gara amatoriale, che già dal nome esemplificava la sua natura dilettantistica. Era Il Gran Premio degli Aspiranti e Bartali visse la preparazione atletica per affrontare quella corsa come una missione esistenziale che non avrebbe mai potuto fallire. Sapeva che continuare a dedicare tempo al ciclismo era un privilegio e doveva dimostrare a se stesso le sue qualità. Bartali era pronto a partire.

Bartali nel Gran Premio degli Aspiranti staccò tutti gli altri giovani ciclisti. Molti osservatori esperti osservando quel caparbio ragazzo che veniva dalla provincia fiorentina e che nello sguardo aveva la giusta rabbia e le capacità per diventare un campione, capirono che Gino meritava un'opportunità. L'arrivo al traguardo sembrò però essere un indizio di tutto quello che sarebbe stata la carriera futura di Gino, molto incline per il suo carattere a polemizzare con chi deteneva il potere. Cosa avvenne dopo quella prima gara?

Gino aveva compiuto 17 anni il giorno precedente alla vittoria del Gran Premio degli Aspiranti. Ma la competizione, in realtà, era dedicata solo ai minori di 17 anni. Naturalmente un solo giorno non poteva costituire un reale svantaggio fisico e tecnico per gli altri giovani corridori, ma nonostante questa semplice riflessione, una giuria molto pignola decise di squalificare il giovane Bartali, che reagì con grande rabbia. Ancora una volta, all'inizio della sua straordinaria avventura, un uomo destinato a diventare una leggenda non venne compreso. Ma Gino era pronto a riscattarsi.

Nessuno lo avrebbe mai potuto fermare. La guerra e la povertà non distrussero il profondo legame tra Bartali e la bicicletta. Per lui ogni pedalata era un passo verso la speranza di dare un svolta alla sua esistenza, e ogni curva che imboccava in corsa lo avvicinava alla conquista di una vita fatta di minori stenti. Durante gli allenamenti già immaginava di stare a correre tra le strade di Parigi davanti a tutti, pronto a tagliare il traguardo e vincere il Tour de France. Per il momento era un sogno, ma Gino Bartali aveva le due qualità fondamentali che devono motivare un ciclista per farlo diventare un campione: era testardo, e sapeva sopportare il dolore..

Gino Bartali era fisicamente piccolo ed aveva una cassa toracica che gli permetteva di avere fiato quando affrontava le salite in sella alla sua bicicletta. Sembrava nato proprio per pedalare, ed infatti dopo pochi anni di allenamento riuscì ad approdare al Giro d'Italia, che negli anni '30 rappresentava l'evento sportivo nazionale dell'anno. Ricordiamo infatti che soltanto nel secondo dopo guerra in Italia il calcio è diventato lo sport più seguito. Prima, gli idoli più popolari erano i ciclisti.

Fare da comparsa nel ciclismo per Gino Bartali sarebbe equivalso ad una sconfitta e grazie al suo temperamento che gli permetteva di affrontare sempre grandi imprese nel 1936 si tramutò in una delle personalità più amate d'Italia. In tutte le città della Penisola le folle urlavano il suo nome con la certezza che il loro eroe sarebbe riuscito a trionfare, ed così avvenne. Sia quell'anno che il successivo Bartali si aggiudicò il Giro d'Italia. Ormai il suo non era più soltanto un sogno. Ma nonostante tutto non si sentiva ancora appagato: sapeva che un ciclista per raggiungere l'apice delle carriera doveva imporsi anche in terra di Francia vincendo il Tour.

La partecipazione al Tour de France per un ciclista degli anni '30, corrisponde ad una nomination all'Oscar per un regista. Bartali sapeva che stava prendendo parte alla più importante competizione ciclistica al mondo, nella quale si ritrovavano a gareggiare i più quotati atleti dell'epoca. Gino voleva dimostrare che anche un ragazzo che veniva dalla povera Italia che viveva nella morsa del regime fascita, poteva trionfare pur non avendo a disposizione grandi mezzi. Quella prima sfida di Bartali in Francia si concluse con una brutta caduta, ma negli anni avrebbe avuto la sua rivalsa.

Avere la sventura di imbattersi in una sorte avversa non significa essere destinati alla sconfitta! Questa riflessione fu il sale di tutta la carriera da ciclista di Bartali. Se infatti nella prima partecipazione al Tour de France venne costretto a ritirarsi per un infortunio, nel 1938 si tramutò nell'eroe di Parigi vincendo l'ambito trofeo e dimostrando a tutti che l'Italia poteva vantare un campione che non aveva alcuna voglia di farsi strumentalizzare dal regime di Mussolini. A suo modo infatti Gino Bartali era un coraggioso anticonformista pronto anche a rivelare idee scomode.

Gli anni della Seconda Guerra Mondiale furono per tutti un periodo di drammatiche difficoltà ed anche il campione Bartali ne risentì. Quel ciclismo era però uno sport povero, che per conquistare una nuova alba necessitava della forza di sognare degli atleti, e fu così che subito dopo la tragedia bellica anche Gino ritornò sulla sua bicicletta. Era pronto a recuperare quegli anni di carriera e quei trofei che l'odio e la follia della guerra gli avevano tolto. Ma proprio in quel momento di riscatto per Bartali, stava emergendo un giovane ciclista combattivo e velocissimo: Fausto Coppi.

Nel 1949 Gino Bartali era il campione in carica che si era aggiudicato l'anno prima il Tour de France. Doveva confermare il titolo, ma gareggiava anche Fausto Coppi, verso il quale Gino provava sia grande stima ed affetto, ma anche una fervida rivalità. La loro amicizia era talmente potente che spesso si tramutava in una sfida perenne che li contrapponeva come due ciclopi che dovevano lottare l'uno contro l'altro ignorando tutti gli altri ciclisti che partecipavano alla gara. Quell'anno per l'Italia rappresentava il momento di una svolta epocale per mettersi alle spalle gli orrori della guerra, e la contrapposizione Bartali-Coppi spaccò l'opinione pubblica del paese.

L'Italia del secondo dopo-guerra era un paese distrutto dai bombardamenti e dalla crisi economica, ma tutti avevano voglia di fare riferimento a nuovi miti. La maggioranza del paese per varie ragioni culturali si schierò dalla parte della nascente Democrazia Cristiana, e decise di sostenere Gino Bartali, che si dichiarava cattolico ed aveva una famiglia che rispettava tutti i canoni che imponeva la dottrina ad un buon cristiano. Fausto Coppi invece era laico ed era amato in particolare da chi credeva nel Partito Comunista Italiano. Coppi aveva lasciato la moglie e conviveva con un'altra donna, la leggendaria Dama Bianca. Si trattava di un fatto che in quell'Italia molto bacchettona era uno scandalo. I diversi stili di vita dei due campioni quindi divisero la cultura popolare e li resero qualcosa di più di due idoli sportivi.

Un ragazzo toscano combattivo e sognatore che pedalando aveva riscattato la sua realtà di emarginazione e povertà, si era poi trasformato in un mito sportivo e culturale. Il suo nome era Gino Bartali. La sua sfida a Fausto Coppi rappresenta certamente una leggendaria contrapposizione tra due atleti, tra due diverse filosofie di vita nelle quali si identificavano gli italiani che con gran fatica dopo la guerra stavano ricostruendo il paese. Chiedersi se due ciclisti possano assemblare realmente due diversi pensieri politici è legittimo, ma a questa idea ormai entrata nell'immaginario popolare c'è una precisa risposta storica.

Secondo molte tesi che provano ad interpretare cosa realmente generò la profonda divisione del paese in quel connubio tra credo politico e passione sportiva che fu la contrapposizione Bartali-Coppi, tutto sarebbe dovuto ad una vicenda storica di grande rilievo. Nel 1948, quando alcuni criminali provarono ad assassinare uno dei fondatori del Partito Comunista Palmiro Togliatti, nel paese stava per esplodere una rivolta popolare. Ma quel giorno stesso Bartali vinse il Tour de France e le radio diedero quasi più spazio a quel trionfo che al grave fatto di cronaca. Da quel giorno tutte le vittorie sia di Bartali che di Coppi iniziarono ad assumere anche un preciso significato culturale.

La storia del ciclismo vede in Gino Bartali uno degli eroi indiscutibili, stimato anche da chi gli aveva preferito l'amico-rivale Fausto Coppi. I due in realtà erano dei campioni le cui gesta sportive pur essendo diventate l'emblema perfetto di un paese diviso dalle opinioni politiche, altro non erano che le conquiste di due eccezionali ciclisti. Ai nostri giorni queste cronache lontane nel tempo costituiscono una pura memoria storica ed è proprio per onorare campioni come Gino Bartali che il ciclismo deve mantenere una propria dimensione agonistica di meraviglioso sport indifferente alle polemiche del doping. Soltanto così è possibile constatare che spesso le favole di uomini del passato possono rivelarci molti segreti per affrontare il futuro.
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