Maurizio Rossi

Parlare di Maurizio Rossi: ovvero le peripezie del sorriso che poggiano sull'intensità della serietà, ma con circospezione. Panegirico? No, realismo di sguardo. Già, perché Maurizio, alla simpatia della romagnolità, ha saputo aggiungere come un penate l'amore verso la concretezza e, nella disponibilità al sacrificio, un modo per elevarsi. Un ragazzo sincero con se stesso e verso gli altri
senza far pesare mai le sue punte di convinzione. Potremmo dire caratterialmente perfetto. A spingerlo verso il ciclismo è stato il desiderio di seguire le orme di un giovane zio, di soli cinque anni più anziano, che si stava ritagliando uno spazio nel ciclismo, Marino Amadori. E il giovane Rossi, fu un gran bel corridorino fin da subito, senza perdere per strada quella crescita tanto spesso compagna di chi, nelle categorie giovanili, pare immediatamente un formato o, addirittura, un arrivato. Maurizio cresceva costantemente e quando affondava gli acuti lo faceva nel modo più spettacolare, creandosi attorno una bella scia d'ammirazione. Insomma, un ciclista completo, di cilindrata purtroppo solo media, ma con tutto ciò che poteva servire per farne un professionista dignitoso, col suo bel alone di luce. Le sue stagioni dilettantistiche, vissute nel GS Lambrusco Giacobazzi del nocchiero forlivese Giuseppe Roncucci, parvero contemplare al meglio un rapido passaggio a quell'elite del ciclismo, a cui Rossi approdò a 21 anni e mezzo, nell'agosto del 1984, in seno all'Alfa Lum Olmo, dove già era accasato zio Marino. Il 1985 fu un anno di apprendistato, compresa la partecipazione al Giro d'Italia chiuso al 102° posto, ma nella stagione successiva, a poco più di 23 anni, Maurizio, era già in grado di ruggire la sua presenza. Lo capì più di tutti Sean Kelly, allora fresco del numero uno mondiale nel neonato ranking UCI, che dovette sudare le proverbiali sette camice, per venire a capo del corridore forlivese nel Giro dei Paesi Baschi. Rossi infatti, dopo aver vinto la prima tappa ad Antzuola, giungendo solo al traguardo con 3'40 sul gruppo, seppe resistere ai veementi attacchi dell'irlandese e cedette solo nell'ultima frazione della manifestazione, una corsa a cronometro. Alla fine, solo 18" divisero i due. Ma l'amara conclusione della gara basca, non frenò l'ascesa del forlivese che, nel corso del 1986, dopo aver concluso bene il Giro d'Italia, conquistò una classica nazionale come il Giro del Veneto, giungendo solo al traguardo. Anche il 1987 fu prodigo di soddisfazioni, ed il successo in quella corsa a tappe che era sfuggita in terra iberica, giunse dall'isola di Sicilia. Nella Settimana Internazionale Siciliana, infatti, Rossi vinse la tappa di Bronte conquistando le insegne del primato che poi nessuno fu capace di togliergli. Nell'anno giunse ad un'inezia dalla conquista anche del Giro di Campania, dove fu beffato allo sprint da Giuseppe Petito. La stagione 1988 fu la più nera, in virtù di una serie di acciacchi che lo frenarono assai. L'arrivo in Jolly Componibili Club '88, l'anno successivo, con un ruolo più importante, fece invece capire a Rossi che la sua migliore stagione era passata. Nel corso del 1989, infatti, pur arrivando al suo miglior piazzamento di sempre al Giro (43°), colse solo il terzo posto nel GP Industria e Commercio. Nel 1990 chiuse la "corsa rosa" al 55esimo posto, ma la mancanza di acuti e la constatazione di un ciclismo che stava cambiando a passi superiori al normale, lo spinsero a far fruttare il suo diploma di infermiere. Lasciò dunque il pedale professionistico, ma non il gusto di salire sulla bicicletta e di proporla agli altri. Oggi, oltre ad essere un valente cicloamatore, insegna ai giovani, le bellezze di uno sport che continua, immutato, ad amare.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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