Italo Zilioli

Un grande talento giovanile che si è progressivamente involuto fino a determinarsi tanto minore rispetto al prevedibile. Un signore che ha vissuto la sua ellisse e l'incompiutezza siamese con dignità, ed una grande disponibilità nel mettersi in discussione. Lo ascoltai a lungo nel dopo carriera, a margine delle corse dilettantistiche dove fungeva da direttore sportivo, ed ebbi la riprova di quanto fosse uomo in grado di dare dimensione ai ragionamenti, di proiettare le essenze della sua disciplina su quadranti più ampi. Alla fine, parlando con personaggi come Italo, si ha una riprova di quanto lo sport sia cultura.
Alzò il suo sipario ciclistico vincendo come un navigato corridore il titolo italiano allievi nel 1959. Da dilettante il suo stile e la facilità con la quale dipingeva le strade raccogliendo successi a iosa, portò il suo padre ciclistico Vincenzo Giacotto, a tenerselo stretto come un prediletto. E quando proprio costui lo fece debuttare fra i professionisti nella sua Carpano, per il giovane Italo era già stata forgiata e scolpita l'etichetta di "nuovo Coppi". Era la tarda estate del 1962, giusto in tempo per consentire a Zilioli di meritare quel paragone su una corsa da sempre fedele alle verità sui valori, il Giro dell'Appennino. Qui, il giovane piemontese dalla faccia dove nemmeno il sorriso sapeva cancellare un velo di tristezza, del grande Fausto diede echi visibili affondando l'onesta e terribile Bocchetta, da solo, in mezzo ad un uragano. Poi, quando il sapore del trionfo stava entrando sul corpo del giovane, una caduta gli impose di rimandare, ma tutti, dietro quella tenda d'acqua, avevano potuto vedere una figura allontanarsi verso un terreno alato. L'anno dopo il ragazzo tornò ed annichilì ogni avversario, compresa la calura che aveva preso il posto dell'acqua scrosciante. Non fu quello l'unico successo del fantastico Italo nel '63. Con cadenza quindicinale s'era costruito un poker pronto a giurare sulle sue qualità, le carte si chiamavano Tre Valli Varesine, Giro del Veneto, Giro dell'Emilia e, appunto, Giro dell'Appennino. Un poco più distanti altre carte di pregio come il Gran Premio di Nizza, la frazione di San Gallo nel Giro di Svizzera e il circuito di Rimaggio . E poi tanti piazzamenti nelle tappe più dure del Giro d'Italia, la sua prima vera corsa a tappe. Illudersi era una dimensione ovvia. Ma il lancio finì lì. Zilioli, evidentemente, era destinato ad essere un campione incompiuto. Nel '64, puntò dritto al Giro d'Italia, ma giunse secondo dietro un Anquetil non irresistibile. Altri lampi di classe nel Gran Premio di Monaco, nella Coppa Sabatini, nel Giro del Veneto e nella Coppa Agostoni, ma l'anno successivo si materializzò un altro bruciante secondo posto: teatro ancora una volta quella corsa rosa che cominciò a suonare come troppo melodica. Consolazione forzata per Italo, la consapevolezza di essere stato sconfitto da un avversario troppo forte che lo aveva lasciato distante: Vittorio Adorni. Nell'anno però, alcune belle giornate Zilioli le aveva avute: su tutte le vittorie nella Nizza Mont Angel, nel Giro del Ticino e nel Gran Premio di Bilbao. Quando ormai l'etichetta di "nuovo Coppi" si vedeva lontana ed in soffitta, la beffa di un abbonamento al secondo posto al Giro continuò, ed anche nel 1966 raccolse un nuovo posto d'onore, stavolta dietro Gianni Motta. E dire che l'inizio di stagione, con la vittoria nel Campionato di Zurigo, già classica di ottimo livello, aveva dato morale ad Italo. A consolazione per il terzo secondo posto nella corsa rosa, la vittoria nel Gran Premio Industria e Commercio. L'epopea di Zilioli eterno secondo al Giro finì lì, e della faccia triste piemontese le cronache ciclistiche parlarono ancora a lungo, ma con obiettivi diversi dall'olimpo rosa. Nel '70 provò l'ebbrezza di una prestigiosa maglia indossando per quattro giorni quella gialla, dopo aver vinto la tappa di Angers al Tour (era in squadra con Merckx). Continuò a raccogliere regalmente tante corse, comprese diverse tappe del Giro e di altre manifestazioni a frazioni. Nel '71, vinse la Tirreno Adriatico e nel '73, a 32 anni, rivinse due lustri esatti dopo il primo successo, quel Giro dell'Appennino che gli aveva dato notorietà da sangue blu. Continuò a correre fino al 1976, dimostrando quanto il non raggiungimento di quel raggio a cui pareva destinato, non gli avesse tolto signorilità e classe. Italo Zilioli si ritirò a testa alta. A fine carriera è stato per alcuni anni direttore sportivo di squadre professionistiche e poi della Fiat dilettantistica. Oggi lavora all'Organizzazione del Giro d'Italia.

Le sue prestazioni al G.P. Terme di Castrocaro.
Pur non essendo un cronomen Italo Zilioli si comportò benissimo. Partecipò alle edizioni '69 e '70, lasciandosi alle spalle autentici specialisti e cogliendo piazzamenti significativi. Al debutto nel G.P. finì 4° a 5'59" da Felice Gimondi, ma battendo personaggi come Ritter, Balmamion e Ocana. Ancor meglio andò nel 1970, quando salì sul podio, terzo, a soli 22" da Gosta Petterson (2°) e a 2'39" dal vincitore Ole Ritter. Anche in quella occasione si lasciò alle spalle gente più accreditata di lui a cronometro, come Simonetti, Rosolen, Van Springel e Boifava.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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