Giancarlo Polidori

Un gran bel pedalatore, per la potenza che possedeva e per il coraggio che l'ha sempre accompagnato sin dalle prime esperienze nel ciclismo. Taciturno e dal portamento ombroso, ma generoso per le ardite condotte di gara e per l'aiuto verso i compagni nobili che, via via, ha incontrato in carriera. Per le sue qualità fisiche e per la tempra di combattente, Giancarlo Polidori rappresenta un altro esempio di ottimo corridore, in parte ridimensionato nel curriculum, dall'essere vissuto in una difficilissima epopea. Fosse in attività oggi, uno come lui, sarebbe un nome fisso fra i primi venti-venticinque del mondo. Sono in molti a pensarla come me, ma la stragrande maggioranza non lo dirà mai, per motivi che non fanno parte del corredo di un libro come questo, ed aprirebbero solo rischi di mal interpretazione. Polidori fu un dilettante di pregio, facile alla vittoria, completo e azzurro spesso presente nelle formazioni di Elio Rimedio. Nel 1965, si laureò campione italiano superando Giorgio Favaro e Damiano Capodivento, poi anch'essi professionisti. La sua lunga avventura nell'elite del ciclismo iniziò l'anno successivo, nelle file della "Vittadello", una squadra che aveva un "patron" gran personaggio e Vito Taccone come capitano. I primi bagliori di successo arrivarono nel '67, quando vinse il Circuito di Pieve di Soligo, ma, soprattutto, quando conquistò nella tappa di Caen, la maglia gialla. Chiuse poi quel Tour al 22° posto. Nel '68, in maglia "Pepsi Cola", si impose nel Giro del Lazio e l'anno successivo in seno alla Molteni, diede ulteriore tangibilità alla sua costante crescita, aggiudicandosi la tappa di Nuoro al Giro di Sardegna, quella di Pescasseroli della Tirreno Adriatico, il Gran Premio Ardea e la frazione di Brescia al Giro d'Italia. Nel 1970 approdò alla Scic, aprendo il ciclo delle sue annate migliori. Alle vittorie nella tappa di Civitavecchia nel Giro di Sardegna e nel Gran Premio Montelupo colte all'esordio in maglia bianconera, accostò un '71 davvero favoloso. Vinse dapprima la frazione di San Benedetto del Tronto della Tirreno Adriatico, quindi il G.P. Cemab di Mirandola, il Giro di Toscana, la Tre Valli Varesine, il Giro del Veneto e la classifica finale del Trofeo Cougnet. Fu azzurro ai Mondiali di Mendrisio, dove chiuse al quarto posto. A fine anno, gli fu consegnato il San Silvestro d'Oro (un premio che stilava la classifica dei migliori italiani in stagione), dove seppe raccogliere più punti di Gimondi e Bitossi. Nel '72, vinse tre tappe del Tour de Suisse e il Circuito di Varano de' Malgari, mentre l'anno successivo una frazione del Giro della Svizzera Romanda e il Giro dell'Umbria. Il suo ruolino, come negli anni precedenti, continuò a riscontrare una marea di piazzamenti di prestigio che gli valsero ancora la maglia azzurra ai mondiali di Gap e Barcellona. In entrambe le occasioni fu un'ottima pedina per i trionfi di Basso e Gimondi. Nel '74, a 31 anni, passò alla Dreherforte, vincendo ad inizio stagione la Sassari-Cagliari, quindi il Circuito di Faenza ed il Giro del Piceno. Nel '75, corso in maglia Furzi FT, non riuscì a vincere, ma sfiorò l'impresa al Giro del Veneto, battuto dallo svizzero Salm e al Giro del Lazio, superato da Roger De Vlaeminck. Nonostante un calo nel rendimento, continuò anche nel '76, vincendo proprio in terra di Romagna la sua ultima corsa: il G.P. Tisselli a Martorano di Cesena. A fine stagione però, il "leone di Sassoferrato" decise di appendere la bicicletta al chiodo e si dedicò con tangibilità e risultanze all'insegnamento del ciclismo fra i giovani ciclisti marchigiani. Una figura importante, davvero.

Le sue prestazioni al G.P. Terme di Castrocaro.
Giancarlo, non era uno specialista delle gare contro il tempo, si difendeva, e lo fece anche il 14 giugno 1970, nell'unica occasione in cui partecipò alla prova forlivese. Giunse settimo, a 7'49" dal vincitore, il danese Ole Ritter.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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