Giovanni Pettenella: quei 63' da record sulla pista di Masnago

C'era il sole, quel 27 luglio del 1968, un sole che illuminava caldo e impietoso il velodromo Ganna di Masnago sul quale si stavano svolgendo i campionati italiani su pista.
La Rai era pronta alla diretta quando sul nastro di cemento scesero due campioni di grido della velocità italiana, il veronese trapiantato ad Affori Giovanni Pettenella e il padovano Sergio Bianchetto. Per capire la portata di quella sfida, prima manche della semifinale, basta ricordare che Pettenella-Bianchetto era stato il menu della finale olimpica di Tokio '64: quattro anni prima la spuntò Pettenella, che in Giappone conquistò l'oro.
Varese era dunque l'ennesima rivincita tra due atleti che si conoscevano bene: Bianchetto era allora in forza alla Vittadello dopo aver corso nel '67 per la Ignis di Borghi; Pettenella vestiva invece la maglia della GBC, squadra belga composta da italiani. Né l'uno né l'altro però, entrando nel velodromo, potevano prevedere di essere sul punto di entrare nella storia.
Proprio così: quel giorno si consumò a Masnago un evento che oggi è pressoché dimenticato, ma che allora fece giustamente scalpore. La disciplina della velocità prevede infatti una situazione paradossale: per vincere in volata bisogna essere bravissimi a stare fermi. È il surplace: i due velocisti si bloccano sui pedali prima di esplodere tutta la potenza; chi parte per primo però concede un vantaggio enorme all'avversario e per questo l'attesa può durare a lungo. E quel giorno il surplace durò oltre ogni limite immaginabile. La Rai si collegò con il leggendario Nando Martellini che presentò la situazione: due ciclisti fermi immobili che si studiavano. Non certo una novità, ma col passare dei minuti la gente iniziò a rendersi conto che quello non era un surplace normale: Martellini prese la linea tre volte, intervistò parecchie persone presenti al velodromo e continuò a dare aggiornamenti... che non c'erano. Pettenella (all'interno) e Bianchetto (vicino alla recinzione) non si muovevano di un millimetro e le telecamere continuavano a inquadrare una specie di fermo immagine.
Dagli spalti reazioni contrastanti: all'inizio qualcuno si spazientì, poi con il passare del tempo si iniziò a pensare all'impresa. Parecchie persone addirittura si mossero da Milano e arrivarono a Masnago in tempo per l'epilogo. Il record del mondo di surplace apparteneva al grande Antonio Maspes, un pupillo proprio di Borghi che lo pagava salato perché si "immobilizzasse" proprio in corrispondenza dei cartelloni pubblicitari della Ignis. Maspes era rimasto immobile per un'ora. In vista di quel traguardo cronometrico i tifosi si caricarono e inziarono a invocare "O-ra o-ra" a gran voce fino al boato del sessantesimo minuto. Pettenella e Bianchetto furono gli unici a non sentirlo: mani strette sul manubrio, pupille a controllare l'altro, muscoli tesi e in bilico tra l'equilibrio e la voglia di scattare. Sotto le bici due laghi di sudore.
Al minuto 63 l'epilogo: è Bianchetto a muoversi per primo, ma non per dare il là alla volata. Il campione padovano barcolla e si schianta sull'asfalto: dovrà essere rianimato con i sali. Vince Pettenella, il "pollivendolo volante", che pochi anni dopo sarà direttore tecnico del mitico Vigorelli.
Un'impresa colossale, mai più ripetuta in gara (il record attuale è di oltre 2 ore, ma senza l'assillo di dover "curare" un avversario) e mai più ripetibile: oggi per regolamento il surplace è fissato in un massimo di tre minuti. Quel giorno splendido e drammatico rimarrà così nella storia di Varese, della sua pista e del ciclismo.
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