Mario Lanzafame, il gregario che non è mai riuscito a vincere

Rivista Tuttobici Numero: 10 Anno: 2000

Mario Lanzafame, il gregario che non è mai riuscito a vincere

di GinoSala

Non ha mai vinto una corsa nelle sette stagioni di attività professionistica, ma si è fatto notare, eccome se si è fatto notare. Sto parlando di MarioLanzafame, corridore riconoscibile nel gruppo degli anni Settanta, anzitutto per il suo naso che lo distingueva da tutti, un naso lungo e un pochino curvo e poi per il suo modo di comportarsi, di combinare sempre qualcosa. Leggerino (63 chili), due gambe sottili, non proprio come quelle di Italo Zilioli ma quasi, si alzava dal sellino in vista della prima salita. Sapeva di non poter andare lontano e tuttavia provava e riprovava. «Qui va in fuga Lanzafame», dicevo al mio autista, e non mi sbagliavo. Andava su in piedi sui pedali, cogliendo incitamenti che ricambiava con un sorriso, sapeva che prima o poi lo avrebbero acciuffato, però era un modo per entrare nelle cronache, un modo per farsi citare come nel Giro d'Italia del '71, quando la sua azione ebbe una durata di un centinaio di chilometri e il suo nome venne scandito da migliaia di tifosi. Fossi stato al posto di Merckx che a quei tempi imperava, avrei fatto di tutto per concedere a Lanzafame una giornata di gloria, un successo che potesse ripagare le fatiche di un umile gregario, ma sappiamo chi era Eddy e cioè un despota, anzi un grande egoista.

E pensare che nelle categorie inferiori il ragazzo di CassanoMagnago (Varese) si era ben comportato. Una ventina di vittorie, tutte dovute alle sue qualità di arrampicatore. Per dirne una, sull'altura di Pergine Valsugana, alle spalle del primattore Lanzafame, è finito Francesco Moser. Peccato che Mario non fosse altrettanto bravo in discesa, anzi sotto questo aspetto era scarso, molto scarso. E così i migliori risultati ottenuti da professionista sono stati un sesto posto nel Giro dell'Appennino e la nona posizione nel Giro della Svizzera. Poco per conquistare una paga decente. Aveva un mensile che si aggirava sul milione e mezzo, non era per così dire un uomo di mercato, era un povero diavolo costretto per giunta a smettere in mancanza di un contratto quando aveva 27 anni.

I gregari sono dei risparmiatori e il gruzzoletto che Lanzafame aveva messo da parte è servito per aprire una panetteria, per tornare al mestiere che faceva in gioventù. Mesteire pesante, alzatacce alle due di notte, ma l'ex corridore oggi cinquantenne può dirsi soddisfatto (sposato, tre figli, un maschio e due femmine) perché i forni sono diventati due. Ho tribolato per avere il suo numero di telefono e a fornirmelo è stato Wladimiro Panizza.Così abbiamo fatto una bella chiacchierata. Ricordi lontani ma ancora vivi nella memoria di entrambi. Gli ho chiesto come si nutriva quando era in sella e mi è parso sincero nella sua risposta. «Anche volendo, non avevo i soldi per andare in farmacia.Sì, sono stati sette anni a pane ed acqua, come si dice in gergo...»

Caro Lanzafame, tu non sei stato un campione, uno di quelli coi titoli per entrare di volata nei miei Visti da vicino, ma queste note sono doverose nei riguardi di chi ha praticato lo sport della bicicletta con profondo amore. Sono certo che tra una pagnotta e l'altra il tuo pensiero torna ai giorni in cui hai indossato i panni del protagonista ed è bello, è giusto che sia così. Non bisogna vergognarsi della nostalgia che accompagna la vita. Ti mando un «ciao» con simpatia e lasciami aggiungere con un filo di tenerezza.
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