Gigi Sgarbozza Il ciclismo come seconda casa

Rivista Tuttobici Numero: 1 Anno: 2001

Gigi Sgarbozza Il ciclismo come seconda casa

di Gino Sala

«Adesso vi spiego com'è andata la volata tra me, Zandegù e Basso. Dovete sapere...». Così iniziava il discorsetto di Luigi Sgarbozza che, finita la corsa, entrava in sala stampa facendosi annunciare dal tacchetto delle scarpette da ciclista, la bici appoggiata al muro dell'entrata e lui che aveva qualcosa da spiegare ai cronisti perché non sbagliassero nel loro giudizio. Il vincitore poteva essere Basso, oppure Zandegù mentre lui, Luigino, era solitamente terzo, massimo secondo, raramente primo ma a suo dire svantaggiato dalla scorrettezza dei due rivali. L'unico corridore che io abbia conosciuto a presentarsi spontaneamente, senza essere convocato davanti a coloro che gli avrebbero dedicato attenzione e magari qualche riga in più del dovuto.
Furbetto il ragazzo nato a Masseno (Frosinone) e residente a Roma, munito di una dialettica che ispirava simpatia. Curava il suo aspetto nel migliore dei modi, sempre sbarbato, sempre gioviale, educato, il primo a salutare, proprio un tipetto accattivante.
Velocista, professionista dal 1967 al 1972, due vittorie di tappa (una nel Giro d'Italia e l'altra nella Vuelta di Spagna), cinque volte secondo, sette volte terzo, una carriera piuttosto breve, non so per quale motivo ha smesso quando era ventottenne, forse perché nell'ultima stagione di attività non aveva una squadra, forse per un motivo diverso.

Erano tempi di scarsi guadagni, buoni soltanto per i campioni. I pedalatori di seconda fascia, gregari compresi, guadagnavano pochissimo e più d'uno smetteva davanti alla prospettiva di un buon lavoro. Ricordo in proposito una confidenza di Felice Gimondi: «La differenza tra il mio stipendio e quello dei miei compagni di squadra è vergognosa...». Intendiamoci: anche oggi esistono ingiustizie nelle retribuzioni, ma nel contesto di un ciclismo miliardario, uno Sgarbozza avrebbe ottenuto un trattamento migliore rispetto al passato.
Dirà l'interessato, cioè Gigi come lo chiamavano tutti, che molta acqua è passata sotto i ponti e che i rimpianti è bene metterli in un cantuccio.
Condivido, però voglio aggiungere con sommo piacere che nulla è cambiato in lui. Lo scorso 21 giugno Sgarbozza ha festeggiato le 56 primavere, ma nessuno gli darebbe questa età. Tale e quale, per molti versi, come quando veniva a decantare le sue esibizioni. Lo stesso sorriso, pochi chili in più, ancora la voglia di raccontare, di stare nell'ambiente, di aggiornarsi su questo e su quello per poi essere un valido fiancheggiatore dei vari telecronisti. Forse con un pochino di enfasi, fin troppo elogiativo, come gli
ho fatto
osservare, ma io non sono stato corridore. E lui sì, perciò è comprensibile
il suo modo di esprimersi, di usare un liguaggio più da ammiratore che da critico.
Ecco, al di là dei suoi trascorsi di atleta, Sgarbozza ha il merito di non essersi appartato. Il merito di sentirsi ancora uno della famiglia per dare a modo suo quel contributo che si chiama entusiasmo, comprensione, incitamento, a sostegno di una disciplina bisognosa di correzioni, ma anche di un amore che ha in Luigino un esponente di primo grado.
©2002-2023 Museo del Ciclismo Associazione Culturale ONLUS - C.F.94259220484 - info@museociclismo.it - Tutti i diritti riservati

I dati inseriti in archivio sono il risultato di una ricerca bibliografica e storiografica di Paolo Mannini (curatore dell'Archivio). Le fonti utilizzate sono svariate (giornali, libri, enciclopedie, siti internet, archivi digitali e frequentazioni sui vari Forum inerenti il ciclismo). Chiunque desideri contribuire alla raccolta dei dati, aggiunta di materiale da pubblicare o alla correzione di errori può farlo mettendosi in contatto con Paolo Mannini o con la Redazione.

Preferenze Cookies - Privacy Policy