Fabrizio Fabbri un lottatore che ha molto da insegnare

Rivista Tuttobici Numero: 4 Anno: 2001

Fabrizio Fabbri un lottatore che ha molto da insegnare

di Gino Sala

Ogni volta che incontro Fabrizio Fabbri è una rimpatriata col ciclismo dei suoi tempi. Che sono quelli di una trentina d'anni fa, dal '70 al '79, per intenderci, giusto il periodo in cui il toscano di Ferruccia di Agliana (Pistoia) ha militato nei ranghi del professionismo. Con onore, aggiungerò subito e al di là delle sue diciotto vittorie tra le quali figurano la Tre Valli Varesine e il Giro dell'Appennino.
Ho conosciuto pochi lottatori come Fabrizio. Uno che non era mai domo, sempre in prima linea, vuoi per spianare il terreno al capitano, vuoi per attaccare di persona. Veramente un atleta generoso, costante nel rendimento, battagliero dall'inizio alla fine delle corse, proprio un tipo di cui oggi si è persa la razza o quasi.

Mi ricordo i giorni in cui mi sono trovato nella sua scia per incitarlo, per battergli le mani, per onorare le sue doti di combattente.
Forte, robusto in ogni circostanza, tanti piazzamenti, la gioia di indossare la maglia azzurra in sei campionati del mondo, un atleta per tanti versi esemplare, insomma.

Una rimpatriata, dicevo. Lui nei panni di direttore sportivo di una grande squadra (la Mapei Quick Step), io a rimpiangere il ciclismo del passato. Colloqui fatti più di silenzi che di parole, intendimenti comuni a cavallo di una situazione che è giocoforza accettare. In qualche occasione, penso, Fabbri si sarà fatto il sangue cattivo, in altre avrà gioito al volante dell'ammiraglia nell'ammirare azioni e comportamenti gradevoli. Tra i suoi amministrati non mancano i ragazzi capaci di fornire risultati esaltanti e sono momenti in cui Fabrizio si sente appagato. Sarebbe ingiusto, per esempio, discutere sul rendimento di un Bettini, di un Nardello e di altri che in ruoli diversi tengono alta la bandiera.

Già, mi domando perché in alcuni pedalatori c'è qualcosa di antico, qualcosa che attrae, mentre molti si lasciano andare, si confondono e mollano quando maggiormente sono attesi. Discorso che porta a conclusioni diverse. Sicuramente in costoro non c'è la tempra del Fabbri corridore, c'è un adagiarsi che è figlio di debolezze caratteriali. Non c'è con la testa, si dice in circostanze del genere e tornando in casa Mapei si potrebbe fare il nome di Pavel Tonkov, di un russo che ha ottenuto meno di quanto è nelle sue possibilità.

Dobbiamo accontentarci, caro Fabrizio. Accontentarci di un sistema che a mio parere via via si è deteriorato fino a produrre guasti di ogni specie. Giudizio da me ripetutamente sottolineato perché nessuno mi toglie dalla mente che il ciclismo di ieri era più divertente, più sincero, più veritiero.
Chiedo scusa al lettore per questa mia insistenza. Qualcuno dirà che devo adattarmi e anche questa è un'osservazione di cui tener conto, però tornando a Fabrizio non posso dimenticare la sua epoca di pedalatore gagliardo, l'epoca in cui circolavano meno soldi, meno squadre, meno di tutto. Se mettiamo di fronte quella "povertà" contro l'attuale ricchezza c'è da rimanere a dir poco sconcertati.
E per concludere sono certo che anche il buon Fabrizio Fabbri avrà pensieri del genere, pensieri che in alcune occasioni diventano un tormento e nella stessa misura una spinta per ottenere il meglio dagli atleti che guida con tenacia e sapienza, con l'esperienza e l'umiltà di chi ha qualcosa da insegnare.
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