Marino Basso, velocista gaudente

Rivista Tuttobici Numero: 10 Anno: 1999

Marino Basso, velocista gaudente

di Gino Sala

Sono invitato ad andare indietro negli anni per ricordare personaggi che hanno lasciato un segno nella storia del ciclismo. Uomini (e magari anche donne) più o meno famosi, ex capitani, ex luogotenenti, ex gregari, per intenderci.
È un invito che proviene da varie parti e non soltanto dal direttore di tuttoBICI, perciò, come dire?, obbedisco, fermo restando che mi affiderò alla memoria, ad episodi vissuti, senza la pretesa di biografie o di ritratti completi, e visto che siamo nel clima dei mondiali, comincerò da Marino Basso, uno dei pedalatori più scaltri e ciarlieri che io abbia conosciuto, professionista dal '66 al '78 e oggi dirigente dell'Amica Chips.
Quando si parla di Marino il pensiero corre alla domenica di Gap 1972 che ha visto il vicentino di Rettorgole in maglia iridata davanti a Franco Bitossi.
«Un fratello ha ucciso un fratello», si poteva leggere il giorno dopo sui giornali francesi. Già, fino ad un paio di metri dal traguardo era ancora davanti il toscano. Terzo Cyrille Guimard, quarto Edoardo Merckx. Faceva un caldo atroce e io non ebbi l'accortezza di cercare una zona d'ombra. Come risultato un'insolazione che rese difficile il mio lavoro. Dovevo stendere tre pezzi, uno dei quali a firma di Marino Basso. Erano tempi in cui godevo la stima e la fiducia di molti corridori che concedendomi la firma per L'Unità, mi autorizzavano ad usarla in calce alle loro confidenze.
Essendo piuttosto confuso, diciamo con le idee annebbiate, stavo immobile davanti alla Lettera 22 quando Basso venne al mio tavolo di lavoro con un sorriso raggiante e parole che non ho dimenticato.
«Devi scrivere che ho intrappolato Merckx marcandolo per l'intera corsa. Mi spiace per Bitossi, ma sull'arrivo in lieve salita ho dovuto lanciarmi per evitare rimonte. Che faccia Eddy quando l'ho incontrato sotto la doccia. Sembrava un cane bastonato, mi ha evitato anche con lo sguardo. Tutti avrebbero potuto vincere senza mandarlo in bestia. Tutti meno io. E sai perché? Perché c'è simpatia tra me e la sua cognatina...».
Basso era un fior di velocista, un tipo astuto, un attore nel suo mestiere quando ingaggiava i duelli con Dino Zandegù, altro elemento capace di divertire la platea. Al di là della fettuccia d'arrivo, i due avevano sempre qualcosa da ridire sull'esito dello sprint incerto fino all'ultimo metro. Accuse reciproche, diverbi, botte e risposte che facevano parte di un copione. Due nemici che facevano discutere. Inconciliabili a prima vista, allegri e compagnoni appena lontani dal pubblico.
A mio giudizio Basso avrebbe ottenuto un numero assai maggiore di successi se si fosse attenuto alle regole del buon atleta. Credo proprio che le sue astinenze siano state poche. Amava i piaceri della vita. Bel ragazzo, sempre a caccia di conquiste femminili, un seguace di Jacques Anquetil, per fare un esempio. Fior di velocista, ho detto, ma volendo anche qualcosa di più, come dimostra il successo riportato nel Giro di Sardegna.
Mi viene in mente un tappone del Giro d'Italia con Basso alla testa del plotone sulla cima di una grande montagna. Era venuta meno la battaglia tra gli scalatori, ma lui era là per dimostrare, una volta tanto, che qualcosa sapeva fare in altura. D'altronde il suo fisico non era simile a quello di Beppe Saronni, quello di un campione che si è aggiudicato un'infinità di vittorie e che per due volte ha trionfato nel Giro d'Italia? Faccio questo paragone con la convinzione che un Basso più determinato sarebbe sceso dalla bici con una pagella decisamente migliore. Il difetto, insomma, di non soffrire a sufficienza, cosa che si può riscontrare in ciclisti del passato e del presente. E con ciò non voglio essere critico nei confronti di Marino. Il suo segno l'ha lasciato. Quando si diventa campioni del mondo tutto si può perdonare.
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